A gennaio partirà il cantiere per plasmare la nuova Azimut, il gruppo assumerà un respiro realmente internazionale, con basi nel sud est asiatico, in America Latina e in Turchia. L’amministratore delegato Pietro Giuliani rompe il silenzio per annunciare le linee guida del progetto al Giornale: «Stiamo lavorando affinché il gruppo possa operare al meglio anche in condizioni di mercato difficili. Dal 2011 Azimut tornerà ad offrire ai clienti rendimenti ben superiori a quelli del sistema dei fondi, almeno 1,5% sopra i Bot e punta a una raccolta compresa tra 1 e 2 miliardi».
L’Europa è scesa in campo con decisione per spegnere l’allarme del debito pubblico, sarà sufficiente?
«Quello europeo è un buon punto di partenza ma che dovrà essere implementato. Le Borse stanno vivendo un rimbalzo tecnico, vedremo gli sviluppi nei prossimi giorni».
Quali passi concreti compirà Azimut?
«Riorganizzeremo la rete storica, identificando gruppi di promotori omogenei per esperienza ed obiettivi e investiremo sulla crescita. Ci sarà poi una ristrutturazione dei prodotti in modo che funzionino al meglio anche in scenari complessi come quelli degli ultimi anni. Per fare questo punteremo anche sui mercati emergenti e sugli Usa».
Come è la strategia estera?
«Il baricentro dell’espansione internazionale sarà il sud est asiatico, a partire da Cina e India così da attaccare le economie emergenti; poi magari il Giappone. Utilizzeremo lo stesso modello da cui è nata Azimut: creeremo start up in joint venture con professionisti locali che hanno voglia di mettersi in proprio. Guardiamo poi al Sud America e alla Turchia, da cui pensiamo di approcciare la Russia».
Quali saranno i tempi?
«Entro il 2011, partirà almeno uno di questi hub internazionali».
Che cosa farete in Italia?
«Azimut è un soggetto che vuole crescere, potenzialmente aggregante. Restiamo aperti ad accordi sia sotto il profilo della produzione con altre Sgr sia per quello della distribuzione. La condizione è però che vogliamo continuare a lavorare sull’alto di gamma. É quindi essenziale che gli alleati condividano la necessità di investire sui prodotti e nella formazione della rete».
Unicredit vuole valorizzare Pioneer, vi interessa?
«Dipende dall’obiettivo: se c’è il desiderio di fare qualche cosa insieme siamo aperti».
E l’asse commerciale con CheBanca?
«A breve sarà operativo anche l’ultimo tassello».
Farete qualcosa per le energie rinnovabili?
«Creeremo un fondo di private equity da 100-150 milioni, riservato agli istituzionali, che investirà sulle rinnovabili. Raccoglieremo denaro anche all’estero per realizzare progetti concreti in Italia. Sarà anche un servizio al Paese».
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