«Il governo ci consegni l’elenco degli statali condannati per mafia»

Forgione, presidente della commissione Antimafia: «Non basta sciogliere i Comuni collusi»

da Roma

Non basta sciogliere i consigli comunali e mandare casa i sindaci quando si scopre che quel comune è inquinato dalle «mafie». È necessario intervenire anche dentro gli uffici di quel comune. Lo chiede il nuovo presidente della Commissione Antimafia, Francesco Forgione (Prc), che ha annunziato la presentazione in Commissione Affari Costituzionali di una proposta di legge di modifica dello scioglimento dei Comuni. «Di fronte a una presenza dichiarata di inquinamento mafioso si mandano a casa sindaci e consiglieri - spiega Forgione - ma in questo modo si lascia al proprio posto il capo del dipartimento urbanistica, o il capo del dipartimento servizi sociali. Nodi fondamentali del patto di scambio tra le mafie e la pubblica amministrazione. È necessario allora giungere al commissariamento gestionale degli uffici coinvolti». Proprio in questi giorni lo stesso Forgione ha ricevuto una lettera appello da parte del direttore dell’Asl di Ragusa, Fulvio Manno, inviata anche al ministro delle Riforme Luigi Nicolais. Per il funzionario siciliano, a capo di una struttura nell’occhio del ciclone, è necessario procedere al licenziamento «dei dipendenti pubblici condannati per associazione mafiosa». E ieri Forgione ha chiesto al governo l’elenco di tutti i funzionari e dirigenti della PA che malgrado abbiano sentenze passate in giudicato continuano a lavorare nello stesso ufficio.
Presidente Forgione, l’inquinamento del settore pubblico colpisce non solo il settore degli appalti ma soprattutto quello della sanità. Il caso Fortugno e il processo a Palermo che coinvolge il presidente della Regione e molti funzionari, ne sono la conferma...
«Lo scioglimento dei comuni è una sospensione della democrazia, ma è una scelta necessaria per combattere le mafie. È nel territorio che si realizza il primo scambio mafia-politica. E il rapporto forte si annida soprattutto negli uffici. È quindi necessaria un’anagrafe patrimoniale dei dipendenti pubblici e la verifica di tanti arricchimenti poco chiari. Intanto vanno censiti tutti i funzionari che hanno sentenze passate in giudicato e che rimangono al proprio posto di lavoro. In Sicilia sono stato io il primo firmatario di una legge in tal senso. Legge approvata e mai attuata».
Ha fatto cenno a Fortugno e alla Calabria dove lo scontro tra il presidente Loiero e il governo nazionale sono punte di un iceberg o, come sostiene il presidente calabrese, a Roma non sembrano preoccuparsi della questione mafiosa? Al vertice di Caserta non c’è stato alcun cenno a questi temi...
«Per quanto riguarda Caserta non capisco come si possa parlare di fase 2 e di Mezzogiorno senza cogliere i nessi tra modello di sviluppo, bonifica sociale e azione di legalità. Ma quello che conta non è lo scontro dentro i partiti e ridurre a questo il grave problema del Sud. La debolezza della politica riguarda la destra e la sinistra ed è questa che favorisce il potere delle mafie. In Calabria a fronte di un potere politico debole c’è il potere certo della ’ndrangheta, che oggi è la mafia più potente rispetto alla Camorra e a Cosa Nostra e produce milioni di euro».
Secondo dati forniti dalla Dia, le mafie in Italia muovono 100.000 milioni di Euro. Non le sembra un dato eccessivo?
«Affatto. Quel che è peggio è che il 30% di questa cifra serve a rigenerare la criminalità tradizionale, mantenere le famiglie, i detenuti e controllare il territorio. Il 70% entra nei sistemi produttivi internazionali. Sino a far diventare molto labile il confine tra economia legale e illegale».
Il rifugio dove venne trovato Binnu Provenzano o tanti altri boss di Cosa Nostra diventano, a sentire questi dati, puro folclore?
«Il controllo del territorio è fondamentale per la mafia militare, ma non dobbiamo dimenticare che dopo un mese dall’arresto del boss dei boss, e i clamori televisivi a base di stalle e di ricotta, venne decapitato il cosiddetto gotha di Cosa Nostra. Quasi in silenzio. Più di 50 arresti: medici, imprenditori, qualche politico, professionisti insomma. Quello che Piero Grasso ha sempre definito la zona grigia, e che Mario Mineo, politico siciliano di primo piano, già 30 anni fa definiva «borghesia mafiosa».
Come si fa a seguire le fila di questa enorme quantità di denaro illegale che invade i mercati finanziari e il tessuto produttivo?
«Serve una rilettura della presenza mafiosa da Lampedusa ad Aosta. Bisogna rifare una nuova mappa dell’insediamento mafioso a Sud e nella cittadella economica del Nord. Mi rifiuto di considerare la questione mafiosa una questione meridionale. E nello stesso tempo mi rifiuto di considerare la questione Sud come questione criminale».
Primo punto all’odg della sua Commissione?
«Calabria e relazione specifica sulla ’ndrangheta, oggi mafia più potente. Ma non va considerata come “un’emergenza”. È un momento della forte pervasività delle mafie che hanno una forza che gli deriva soprattutto dall’enorme capitale che riescono a intercettare. Bisogna lavorare molto, evitare missioni inutili e dare al Parlamento leggi efficaci. Ho già dato il via alla formulazione di un testo unico delle leggi antimafia, e alla riverifica della legge sulla confisca dei beni e della loro gestione. Proporremo al Parlamento la creazione di una Agenzia che si occupi dei beni sequestrati.

Ma c’è una battaglia culturale da fare, soprattutto a Sud. Sostituire il sistema dei diritti a quello dei favori. In Sicilia spesso a proposito dei servizi pubblici non si dice “dove devo andare”, ma “a chi mi devo rivolgere?”. Di questa cultura si nutre la zona grigia».

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