Governo, la Lega non molla il Cavaliere: "Andiamo avanti col Pdl per fare le riforme"

I vertici del Carroccio inquieti per le sconfitte a Milano e nelle roccaforti padane. Il diktat di Bossi: "Organizzare il partito". E Maroni rilancia: "Una sberla, ora colpo di frusta al governo". Ma nella base si dà la colpa agli alleati: "La campagna elettorale è stata impostata male"

Governo, la Lega non molla il Cavaliere: 
"Andiamo avanti col Pdl per fare le riforme"

Roma - Il nome che la Lega indica come il responsabile del tracollo lo fa (nel silenzio plumbeo di via Bellerio) Matteo Salvini, vicesindaco in pectore prima che Milano si colorasse di arancione: «È stato un voto contro Berlusconi».
Insomma è il Cavaliere, nei ragionamenti fatti nel quartier generale bossiano, che ha fatto affondare la Lega nella capitale della Padania, città che il Carroccio amministra ininterrottamente (insieme all’ex Forza italia ed ex An) dal ’93. Il calcolo su Milano sarebbe più 35mila voti per la Lega (Comunali 2006), meno 80mila voti per il Pdl. Ma il conto non convince neppure i colonnelli, perché il bilancio del Carroccio è piuttosto negativo, anche dove è andato da solo e quindi senza possibilità di scaricare la colpa sull’alleato. Perse le piccole-grandi sfide cui Bossi guardava con molte aspettative (dopo la delusione a Gallarate), con una Lega al ballottaggio a Rho, Desio (dove il capo leghista è andato nell’ultima settimana), Novara (città di Cota, Comune leghista da due mandati), Domodossola (leghista...), Nerviano, e con solo Varese confermata («e ci mancherebbe...» chiosa un leghista varesino, «sono l’ultimo dei mohicani, miei cari, qui è cambiato il vento...» scherza amaramente Attilio Fontana, il sindaco). Sconfitto è anche Gianni Fava, leghista «maroniano» candidato alla provincia di Mantova. E un Bossi sibillino che, uscito dal seggio, dice «devo pensare a organizzare il mio partito...».
E ora? Si racconta di un Senatùr molto nervoso, e di un Maroni altrettanto inquieto. Qualcuno si espone un po’ di più, come fa Flavio Tosi, molto vicino a Maroni, dicendo a caldo «Berlusconi deve fare una riflessione, ha impostato lui la campagna elettorale e lì (a Milano, ndr) abbiamo perso». Berlusconi premier nel 2013? «Avrà 76 anni... è una valutazione che deve fare lui. Ma il governo ora deve tornare a occuparsi esclusivamente di cose che interessano al Paese».
Questo è un leitmotiv leghista, un rimprovero al premier troppo impegnato (e con lui la maggioranza) in faccende che interessano poco «la gente». Il popolo di Radio Padania ha meno dubbi dei vertici leghisti, e in onda se la prende con il Pdl e la campagna sbagliata a Milano. Finché non interviene il numero due della Lega, Roberto Maroni, per ammettere che «è stata una sberla» e che «serve un colpo di frusta all’azione di governo». Altrimenti «arriveranno altre sberle nel 2012» (altra tornata amministrativa) e poi nelle politiche 2013. Ma si continua, spiega Maroni per fugare certi sospetti, «non con la crisi di governo o alleanze strane, ma continuando con questa alleanza e con questo governo con un programma per i prossimi 24 mesi», in particolare sul fisco (visto che, dice il ministro leghista, «Berlusconi è d’accordo»), sul federalismo e sui tagli alla burocrazia. Il «Bobo» ammette che il risultato «non è esaltante per il centrodestra e per la Lega» che «bisogna capire le cause» della perdita di «leadership dei territori».
È vero che nel Carroccio molti puntano a un «riposizionamento» del partito, ma i vertici leghisti sono più realisti e prudenti. Bisogna cambiare registro, parlare di riforme concrete e non di procure rosse o candidati sindaci ladri d’auto. Però l’asse resta quello, che piaccia o no, l’alternativa sarebbero solo «strane alleanze», come dice Maroni (mentre Bersani e l’Udc ripartono con le strizzatine d’occhio alla Lega). Qualcosa è tuttavia in movimento, piccoli esperimenti di «ribaltone», come quello di Gallarate, dove molti elettori della Lega - su indicazione esplicita del partito - al secondo turno hanno votato il candidato del Pd e non quello del Pdl.
Ma sono frazioni di un quadro più complesso, in cui si riconosce ancora l’asse Pdl-Lega. «In questo momento si deve andare avanti con questa strada» spiega Calderoli. Il governo non è rischio, «ma penso che un esame di coscienza vada fatto, per quello che bisogna fare adesso». Sarebbe sbagliato aprire una faida col Pdl, fa capire il «berlusconiano» Calderoli, perché «si vince tutti insieme e si perde tutti insieme, non andiamo a cercare singole responsabilità», come fanno però molti leghisti. La colpa è soprattutto della crisi economica, che paga - elettoralmente - soprattutto chi governa.

«Credo che la risposta - dice Calderoli, sulla linea stabilita da Bossi - sia proseguire lavorando ancora di più per le riforme». Quando si è al governo è naturale una certa «disaffezione da parte dell’elettorato: bisogna capirla prima che sia irreparabile». Non è ancora l’ora della resa dei conti.

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