Quella "colpa" che la sinistra non perdona alla Meloni

Il premier ha stanato la gauche caviar. E ha dimostrato tutta l'ipocrisia di chi predica bene ma razzola male

Quella "colpa" che la sinistra non perdona alla Meloni
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Paralizzati come le grandi città causa sciopero dei mezzi, i big della «sinistra al caviale» o gauche caviar per dirla alla francese, si risvegliano dalla batosta americana e sparano a zero su Giorgia Meloni per una battuta innocente sul grande tema delle disuguaglianze sociali: «Non mi sento bene ma sono comunque al lavoro», il suo sms spedito ieri a un giornalista, una punzecchiatura sul suo stato influenzale e sulla mancanza di tutele sindacali. La leader Pd Elly Schlein dice che la Meloni deve «smetterla di fare la vittima, che le vittime sono i milioni di lavoratori che il governo vuole più fragili e ricattabili, purgandoli con l’olio di ricino». «Svilire i diritti sindacali? Li difendo molto meglio della sinistra al caviale», ribatte il premier. Quella di Massimo D’Alema e della sua barca, dei maglioncini di cachemere di Fausto Bertinotti, dei figli di papà come Matteo Colaninno candidati in Parlamento.

Ora, basta guardare a ciò che è successo in America per farsi due conti. Lo scollamento tra la sinistra e il mondo reale è evidente, anche per colpa del solito giornalismo embedded che ha illuso l’opposizione sulla vittoria dem alle presidenziali Usa. Basterebbe chiedere ai milanesi o ai romani di chi è la colpa del caos trasporti, ma chi resta confinato nella torre d’avorio della Ztl con il popolo non ci parla da un bel pezzo. La ricetta economica della sinistra in questi anni è stata falllimentare. A partire dalle politiche di austerity che l’Europa ci ha imposto con il governo di Mario Monti, che hanno segato le gambe alla crescita, per tacere dell’assalto alla casa, che ha paralizzato la dinamica sul mattone. La salassoterapia a base di tasse sulla ricchezza e lo spauracchio della patrimoniale agitato in nome della povertà ha spaventato gli investitori esteri, le politiche a colpi di bonus, vedi quelli edilizi, si sono dimostrati terreno di caccia di consorterie mafiose e broker spregiudicati, la difesa dell’immigrazione clandestina che ha reso le nostre città sempre più insicure. Per anni la sinistra si è intestata persino le politiche liberali che hanno allargato il divario sociale, si è messa a inseguire derive etiche consumate sul corpo delle donne, il cancro del precariato a vita non solo non è stato estirpato ma su quel disagio si è provato a costruire il falso teorema della sinistra «dalla parte dei lavoratori», vedi la battaglia sul «salario minimo» che la Schlein rivendica ancora oggi ma che non ha alcun senso in un Paese dove il 97% dei contratti è collettivo. Hai voglia anche a rivendicare l’eredità di Enrico Berlinguer, riproposto (ma dai?) in una inverosimile chiave liberal nel film con Elio Germano che nemmeno la dura e pura Luciana Castellina riconosce per completare il quadro dello smarrimento in cui la sinistra si muove oggi.



La colpa della Meloni è quella di aver stanato la sinistra sul suo terreno, i suoi flirt con banche, fondazioni e grandi imprese, le liasons dangerouses con quel sindacato sempre meno rappresentativo che pare divertirsi a giocare con la vita e il lavoro delle persone pur di convincere il popolo alla rivolta sociale, per usare le parole del leader Cgil Maurizio Landini, con il solito linguaggio d’odio che rischia di alimentare un conflitto permanente su cui imperversano da anni centri sociali, anarchici e no global coccolati senza vergogna a dismisura dalla sinistra, persino in carcere.

Trentacinque anni fa è caduto il Muro di Berlino, l’unico retaggio rimasto è il fortino costruito sull’ipocrisia in cui la sinistra tenta di nascondersi, ormai inutilmente.

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