Grande musica low cost e per Mito è un trionfo

Funziona il format adottato da MiTo, il festival musicale, tra Milano e Torino, che si è chiuso giovedì. Lo confermano i numeri, anzitutto quelli delle presenze: 77.526, spalmate lungo i diciannove giorni di una manifestazione alla sua quinta edizione. Su 58 appuntamenti con ingresso a pagamento, 31 hanno registrato il tutto esaurito.
Perché MiTo ha vinto? Perché è entrato nelle viscere della città, ha fatto tappa nel teatro massimo, la Scala, più volte ha sostato nell'auditorium di tradizione, la sala Verdi del Conservatorio, ha rispolverato le glorie del teatro ai bordi della città, gli Arcimboldi. MiTo ha bussato alla porta di musei, palazzi, è stato nelle piazze e in metropolitana. Si è spinto negli stadi, il caso di sabato scorso quando i colori selvaggi e ritmi sghembi della Sagra della Primavera di Strawinvskij hanno fatto il loro ingresso al Forum Assago. La locomotiva trainante è stata la musica classica che ha trascinato pop, rock, jazz, folk in un mix di generi e dunque di pubblico. MiTo ha poi saputo darsi visibilità, ha saputo e voluto comunicare con tutti i mezzi la sua presenza, seducendo il potenziale spettatore. Si è mosso con una disinvoltura comunicativa che poche istituzioni culturali hanno. Ha ricordato che l'appuntamento era per settembre con un MiTo fringe collocato, strategicamente, all'inizio dell'estate. Ha costruito un sito accattivante, di quelli che ispirano a consumare il prodotto, e in effetti il 30 per cento dei biglietti è stato poi venduto online. Ha fatto un’opera di informazione e promozione da campagna elettorale americana. Ha offerto appuntamenti strizzacervelli, ma anche di facile consumazione. Ha coinvolto le famiglie con gli spettacoli per i piccini e strizzato l'occhio ai giovani con prove aperte alla Scala a costo zero. E in generale, aldilà delle gratuità, i biglietti erano comunque accessibili.
Sarà che in tempi di crisi, dunque di oculatezze finanziarie, per usare eufemismi, è difficile assicurarsi gli artisti superstar, quelli dai cachet d'oro. MiTo, appunto, non è stato una parata di stelle. Nel tourbillon dei 121 eventi milanesi, trovavi l'artista celebrità, Di Toro o Bollani per il jazz, il direttore Temirkanov, Barenboim o Boulez per la classica. Ma non sono atterrate a Milano chissà quante orchestre supersoniche, non c'è stata la pioggia di solisti per i quali basta il nome. La vicina Lucerna, ma anche Bonn stretta attorno al suo Beethovenfest, in questi giorni sono città di festival con cartelloni improntati a solisti e formazioni di chiara fama. Del resto, si parla di una Svizzera dal franco schizzato alle stelle e di una Germania che, pur in questa fase di tracollo europeo, rimane pur sempre il faro economico. MiTo rappresenta il solito miracolo all'italiana, riesce a sussistere disponendo di un budget infinitamente più ristretto rispetto a quello dei festival di rango d'Europa (incluso quello di Bucarest, attivo in questi giorni), si tratta di 4.350.000 euro di cui 2.500.

000 provenienti dal Comune e tutto il resto frutto di sponsorizzazioni e incassi.
Difficile fare pronostici per l'anno prossimo e tanto meno per l'edizione dell'Expo: i tempi non lo consentono. Al momento, la squadra di MiTo si gode i numeri.

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