Grattacieli, la sfida verticale che già divide i romani

Grattacieli sì, grattacieli no. Il tema è di quelli che divide. Lo sviluppo verticale della città è sempre stato un tabù nella città in cui nessun edifico può sopravanzare in altezza il simbolo universale, San Pietro. Epperò il cielo è infinito e la terra no, e quindi la costruzione di edifici molto alti può essere l’unica strada valida per densificare la città senza «consumare» gli spazi, i servizi e il verde. I romani saranno chiamati a pronunciarsi sul dilemma la prossima primavera, quando si svolgerà un referendum annunciato dal sindaco Gianni Alemanno, che appare moderatamente favorevole a dotare Roma di un più movimentato «skyline»: «Non c’è l’obbligo a farli o a non farli - dice -. Noi abbiamo un solo grande impegno che è quello di smettere di distruggere altri pezzi dell’Agro Romano. In questo obiettivo i grattacieli non possono essere un tabù».
Che l’argomento sia di quelli «hot» lo dimostra il fatto che poche ore dopo la provocazione di Alemanno, giunta martedì da Milano, si sono già formati gli schieramenti (piuttosto trasversali) dei sì e dei no. Con una differenza: i favorevoli lo sono con tutti i se e i ma del caso, mentre i contrari lo sono in senso assoluto. Tra i primi iscriviamo Francesco Giro, sottosegretario ai Beni culturali: «È un progetto di cui si discute da tempo, emerso anche nel recente incontro degli architetti internazionali riuniti a Roma dove, accanto alla verticalizzazione della città, è stata anche promossa l’idea di una sua orizzontalità, attraverso la realizzazione aggiornata del canone architettonico della piazza italiana, come momento di aggregazione, socialità e identità territoriale. Con i grattacieli costruiti in un contesto paesaggistico che rispetti la qualità architettonica ed ambientale, noi verticalizzeremo la città perché, dopo decenni di sviluppo caotico della nostra città, è molto meglio consumare cielo che altro territorio». Anche gli architetti sono generalmente inclini a ridiscutere il profilo capitolino. «Un grattacielo può avere un senso - ammonisce però Federica Caccavale - se abbinato a una funzionalità, se rappresenta un’occasione per creare una nuova polarità in una zona senza spargere cubatura sul territorio. Altrimenti, se non costituisce un pezzo di città e non fa qualità urbana, non ha senso e non è interessante nemmeno dal punto di vista commerciale». «È un’ottima idea, nulla di sconvolgente, anzi abbastanza normale, che si inserisce perfettamente nell’evoluzione della città europea», dice Roberto Silvestri. E perfino la Chiesa potrebbe non opporsi: «Certo, se si trattasse di costruire un grattacielo davanti alla basilica di San Pietro ovviamente sarebbe orribile - avverte il cardinale Giovanni Cheli, presidente emerito del Pontificio consiglio della Pastorale per i migranti -. Ma costruzioni che sovrastino il Cupolone nelle periferie non rappresentano certo un problema. Anzi, se poi l’idea di costruire grattacieli ha una valenza sociale, è chiaro che non devono essere più un tabù».
Molto più secchi i no. Peschiamo nel mazzo Teodoro Buontempo, assessore regionale alla Casa («Roma non ha bisogno di ecomostri, né in orizzontale né in verticale»), il critico d’arte Vittorio Sgarbi («Non voglio neanche commentare un’idea simile. Non hanno i soldi per restaurare il Colosseo e la Domus Aurea e vogliono far costruire a Roma, città storica per eccellenza, i grattacieli. È una cosa impensabile».), il deputato Pdl Marco Marsilio («In caso di referendum mi farò promotore per il comitato per il no, per affermare il fatto che bisogna rispettare l’identità culturale e la memoria storica della città»), il consigliere provinciale di Sinistra e Libertà Gianluca Peciola: («Le priorità per le periferie della nostra città sono altre.

Servono interventi seri di riqualificazione e di recupero. Il sindaco, troppo spesso in compagnia delle archistars, dovrebbe invece andarsi a fare una passeggiata in periferia»). La guerra dei grattacieli è appena incominciata. Scommettiamo?

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