«Guai se l’Unione si fa sedurre dall’Udc»

Luca Telese

da Roma

Altro che Polonio! Da mesi Rifondazione denuncia il rischio che il governo corre dopo lo sganciamento dell’Udc dalla Casa delle libertà. Come se Cesa e Casini fossero un veleno, capace di far saltare - una volta in circolo - i delicati equilibri della maggioranza. È così seria la denuncia di «contaminazione centrista», che ieri il segretario del partito, Franco Giordano, lanciava l’allarme: «A Palermo c’era un tentativo di condizionamento del programma dell’Unione, una vocazione a sostituire politicamente le frange più radicali - e noi in prima persona - al governo del Paese». Dal Venezuela, dove ha seguito la campagna elettorale di Hugo Chavez, il capogruppo alla Camera Gennaro Migliore, rilancia senza giri di parole: «Dobbiamo stare in campana».
Onorevole Migliore, com’è la politica italiana vista da Caracas?
«Come dall’Italia. Molto complicata».
C’è più passione laggiù che nell’Ulivo?
«A Caracas, con la vittoria di Chavez si sta scrivendo una pagina di grande storia... ».
In Italia il formato è più ridotto?
«Ogni paese ha la sua storia, ma in Venezuela è palpabile la grande ambizione di costruire un’alternativa socialmente equa».
Nella sua maggioranza non sente pulsare la stessa passione, ovviamente.
«In Venezuela si parte da una situazione di estrema povertà, grandi disuguaglianze. Ma da noi ci vorrebbe più coraggio riformatore».
Non è un mistero che vediate con il fumo negli occhi le ultime mosse dell’Udc...
«Io considero l’Udc un versione mediocre e minore di una grande ambizione politica, quella di rifare la Dc»
Mediocri, ma terribilmente determinanti, soprattutto al Senato, dove l’Ulivo fatica.
«Non vedo margini di dialogo».
Prodi qualche segnale lo ha lanciato, e questo vi ha allarmato.
«Lo dico chiaramente: se io fossi Prodi, non mi farei per nulla sedurre da queste offerte».
Anche nell’Unione c’è chi vuole aprire il dialogo con Casini.
«Guardi, l’Udc è sempre l’Udc».
Ovvero?
«Non è che uno si può rifare una patente di verginità politica, aderendo o a un corteo».
Non crede al pragmatismo di chi dice: cerchiamo i voti dove sono?
«Ci si deve concentrare più sulla società, e meno sul Palazzo. Così si aiuta il governo».
C’è chi dice: usiamo le divisioni della Cdl...
«La nostra politica non può essere la spallata all’opposizione. È una cosa senza senso».
Due milioni in piazza, le fa impressione?
«Dopo aver detto per anni che la piazza è uno strumento di partecipazione democratica, non posso certo cambiare idea perché a mobilitarsi è chi non la pensa come me. Però, dal punto di vista politico, è indubbio che quella piazza avesse un senso regressivo».
Rifondazione scenderebbe in piazza con i suoi alleati per difendere questo governo?
«Non si manifesta per sostenere un governo, ma per inserire delle priorità nella sua agenda. Con i precari lo abbiamo fatto».
E lo avete raggiunto, l’obiettivo?
«Purtroppo c’è ancora un atteggiamento infastidito, di alcune componenti della maggioranza, su questi temi».
Berlusconi sostiene che l’Unione è in mano alle sue componenti più radicali, cioè voi, i verdi e Pdci.
(sorride) «Magari!».
E intanto la Binetti in Commissione ha riscritto la linea sulla droga.
«Lei, e quelli che hanno votato con lei si sono assunti delle responsabilità pericolose».
Teme la Binetti?
«Lei non è solo una parlamentare, ma un progetto politico che vuole costruire un’ipotesi di consenso regressivo nel partito democratico e nella coalizione».
Ci può riuscire?
«Secondo me no. Ma intanto trova terreno fertile per le sue battaglie sui media».
Fra voi e i moderati ulivisti chi prevale?
«I centristi stanno provando a mettere in discussione quel che si è già deciso. Per questo bisogna stare in campana».
Il prossimo banco di prova?
«Adesso dobbiamo riscrivere la Fini-Giovanardi. Lì vedremo chi fa sul serio».
L’Udc può spostare quel baricentro?
«Quello che mi irrita è che si consideri irrilevante essersi presentati davanti agli elettori, aver sottoscritto un programma e una scelta di appartenenza a uno schieramento.

E che si pensi di poterla cambiare».
È quello che sta accadendo al centro?
«Più o meno. Mi ricordano Brecht: se il popolo non capisce il programma bisogna cambiare il popolo. Forse bisognerebbe cambiare loro, invece».

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