Guardie svizzere, giurano 33 reclute

Guardie svizzere, giurano 33 reclute

Il 6 maggio 1527, data del Sacco di Roma, si lega profondamente con la storia della Chiesa, anche perché è stata segnata dal sangue di 147 suoi figli: le guardie svizzere che morirono sui gradini dell’altare maggiore di San Pietro, nel tentativo di difendere Clemente VII da Lanzichenecchi e mercenari spagnoli. E proprio ogni anno, in questo giorno, nel corso di una suggestiva cerimonia le nuove reclute fanno solennemente il loro giuramento nel cortile di San Damaso del Palazzo Apostolico. Ogni alabardiere tiene stretta nella mano sinistra la bandiera dai colori giallo, rosso e blu, divisi dalla croce bianca, sulla quale spicca l’arme del comandante del corpo in carica, accompagnata dagli stemmi del Papa regnante e di Giulio II. Gli Svizzeri sono in uniforme di gala disegnata secondo tradizione da Michelangelo e caratterizzata dalle losanghe gialle e blu con risvolti rossi dal vistoso morione di foggia spagnola sormontato da rosse piume di struzzo, dalla gorgiera, la corazza e l’alabarda di due metri, pesante ben sei chili. Come sempre alla cerimonia, accompagnata dal suono dei tamburi della banda, partecipano personalità religiose del Vaticano, rappresentanti politici e militari della Confederazione Svizzera, il tutto coronato da un centinaio di persone tra parenti e amici. Il cappellano del Corpo legge il testo del giuramento, con il quale ciascuno si impegna a «servire fedelmente, lealmente e onorevolmente il Sommo Pontefice». Poi le nuove reclute, chiamate per nome, si fanno avanti e ciascuna - con la mano sinistra sulla bandiera del Corpo e la destra alzata con tre dita aperte nel segno della Trinità - giura.

«La Guardia Svizzera è anche una scuola di vita e durante l’esperienza in Vaticano molti hanno potuto scoprire la propria vocazione: al matrimonio cristiano, al sacerdozio, alla vita consacrata», ha detto Benedetto XVI ricevendo ieri le 33 reclute della Guardia Svizzera Pontificia che oggi giureranno «fedeltà e lealtà» al Papa e alla Chiesa intera, ricordando che «a distanza di cinque secoli è rimasto immutato lo spirito di fede che spinge giovani svizzeri a lasciare la loro bella terra per venire a prestare servizio al Papa in Vaticano».

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