La guerra civile della sinistra

La guerra civile della sinistra

Egidio Sterpa

Secondo Giovanni Pellegrino, l’avvocato salentino divenuto senatore del Pci nel 1988 e resosi famoso per aver presieduto con una certa obiettività la Giunta per le autorizzazioni a procedere all’epoca di Tangentopoli e più tardi la Commissione sulle stragi e il terrorismo, la storia politica italiana degli ultimi sessant’anni è la storia di una lunga guerra civile. Ne dà dimostrazione con un libro-intervista edito da Rizzoli intitolato appunto La guerra civile, che, pur se sbilanciato a sinistra, merita d’essere letto perché vi si tenta la spiegazione ragionata di come la democrazia italiana da più di mezzo secolo sia immersa in un conflitto ideologico che ha ridotto il sistema politico ad un livello inferiore.
È una constatazione che amareggia i veri liberali, i quali inutilmente fin qui hanno sperato di vedere l’avverarsi della democrazia dell’alternanza, dove l’antagonismo tra opposti non sia fatto di intolleranza e irragionevoli amicizie ma si misuri civilmente secondo quelle regole che già nel secolo diciannovesimo in un suo famoso discorso sulle libertà indicava Benjamin Constant.
Un vero esempio di intossicazione ideologica e perciò di intolleranza è certamente la chiassata davvero incivile per l’accordo De Benedetti-Berlusconi che proprio nulla aveva a che fare con la politica. Un episodio che s’addice perfettamente al clima da guerra civile di cui l’ex senatore comunista Pellegrino s’è fatto ermeneuta. S’è sfiorato addirittura il «razzismo etico», che porta a considerare gli avversari come esseri moralmente inferiori.
La reazione di taluni intellettuali - Scalfari, Biagi, Mauro, per fare solo qualche nome - è innegabilmente segno di una degenerazione che mortifica il ruolo che nelle vicende comunitarie indubbiamente spetta all’intelligenza e alla cultura. Esemplare, al contrario, il comportamento del senatore diessino Franco Debenedetti, che non ha esitato a disapprovare pubblicamente il proprio fratello Carlo, il quale rinnegando non molto onorevolmente in verità, un accordo pattuito sulla parola, ha ottenuto sì il plauso interessato di una fazione, ma di certo non ha guadagnato una citazione nell’almanacco genealogico di Gotha.
È finita insomma la favola del capitalista paladino e archetipo della sinistra. Lo rileva persino una «gauche» schietta e rispettabile come quella di Emanuele Macaluso, per il quale De Benedetti non può vantare davvero virtù morali più di Berlusconi perché da sempre intreccia affari e politica, mantenendo ben fermi i propri interessi. Non sarà certo un liberale a contestare il diritto di «fare affari» (ma tenendoli, si capisce, ben lontani dalla politica). Però, perdinci, almeno un po’ di classe c’era da aspettarsela da un tycoon dotato di indubbie capacità nel mondo della finanza. L’aver mancato di parola, insomma, ha deluso chi con l’Ingegnere non ha mai avuto dimestichezza. È impossibile non riconoscerlo: il Cavaliere s’è mostrato, invece, più signore.
Spiace a chi qui scrive che questa vicenda da «stagione dell’odio», per dirla con Cossiga, veda impegnato anche un intellettuale del rango di Giovanni Sartori, che vogliamo continuare a considerare con amicizia e stima, nonostante l’opinabilissimo e incomprensibile suo schieramento con una sinistra tutt’altro che liberale.
È mai possibile che l’antiberlusconismo conduca a tanto? Il direttore di Repubblica, Ezio Mauro, per esempio, arriva a definire la parte oggi al governo in Italia «inaccettabile in Europa». E nega perfino che in questa parte ci siano liberali autentici.
Sta qui e non altrove l’anomalia italiana di cui tanto si parla. Siamo in presenza di un giacobinismo irrazionale e settario che per partito preso si rifiuta di ammettere che possa esserci una destra pulita, come può esserci, e c’è, perché non riconoscerlo?, una sinistra rispettabile.


Non è forse ora di smetterla con questo gioco al massacro che rende più che anomala tutta la politica italiana?
I furori ideologici che appestano la nostra vita politica non stanno facendo meno vittime e danni degli agguati e dei colpi di pistola delle Brigate rosse. Come si fa a negare allora che abbiamo in casa ancora la guerra civile?

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