La guerra a sinistra fatta di celluloide

È una guerra di celluloide, è vero, ma è anche una guerra che reca incisa nella filigrana della sua pellicola il possibile destino del partito Democratico. Possibile? Sì. Ma prima di tutto va detto che è guerra feroce, al punto che, sulla prima del manifesto, ieri campeggiava un caustico editoriale di Roberto Silvestri. Un corsivo con cui si riabilitava - nientemeno - Giuseppe Zanardelli (quello del 1901!) e si sparavano dardi avvelenati contro Ecce-Nanni Moretti. Il regista de Il Caimano - era l’accusa - accettando la direzione del festival di Torino ha ceduto alle «pressioni dei politici», viene «strumentalizzato dal centrosinistra», si fa protagonista di «un pasticcio culturale». Boom! Possibile? Ancora una volta sì. Ma iniziamo col dire che (stranamente) stavolta Silvio Berlusconi non c’entra. A prima vista potrebbe persino sembrare solo una disputa iniziatica fra le famiglie scespiriane dei cinephiles italiani, una guerra di successione tra vecchi e giovani, padri e figli, un Ci eravamo tanto amati al curaro. Invece sta diventando molto di più.
Il casus belli è noto: Steve della Casa e Alberto Barbera, ex discepoli del critico Gianni Rondolino (maître à penser della cinematografia piemontese) detronizzano il maestro di un tempo, e i suoi due discepoli, Roberto Turigliatto e Giulia D’Agnolo Vallan, storici curatori del festival sabaudo, coppia rigorosissima, ma assolutamente aliena alle logiche della grande promozione. Curano un festival pieno di chicche e talenti, ma lontano dalle prime pagine, del tutto estraneo al nuovo corso della cinematografia mediatica inaugurato dal festival di Roma di Walter Veltroni. Barbera e Della Casa, i due «Bruti» (nel senso tu quoque) sanno che per esautorare il maestro bisogna tirar fuori dal cilindro un nome irresistibile. Ed ecco che, dopo ripetute profferte, arruolano Nanni Moretti. Direte: ma la politica che c’entra? C’entra, c’entra. In primo luogo perché il primo a puntare l’indice è il quotidiano comunista: senza l’assenso dei tre assessori di centrosinistra - accusa Silvestri - l’operazione non sarebbe possibile. Ma c’entra anche perché con questo colpo - quatto quatto - rientra in scena sulla ribalta nazionale, il grande emergente del centrosinistra piemontese, l’unico uomo che potrebbe fronteggiare Walter Veltroni in una possibile guerra per la nomination della Quercia e la leadership del partito democratico: il sindaco di Torino Sergio Chiamparino.
Che Piero Fassino stia per chiudere il suo ciclo è noto. Che pur di non far trionfare Veltroni farebbe barricate è altrettanto ovvio. Che sia alla disperata ricerca di un candidato «riformista» a cui cedere la sua successione anche. Che Chiamparino possa essere il cavallo su cui puntare, ancora non tutti l’hanno capito. Eppure, anche se nei Palazzi romani si minimizza, Torino in questi anni è tornata un grande centro dei poteri italiani. Prima con il trionfo delle Olimpiadi invernali, poi la risurrezione miracolosa della Fiat: Sergio Marchionne presenta nuovi modelli come nemmeno Steve Job alla Apple e ora arrivano tutti insieme la nuova Bravo, la nuova Delta (affidata all’ex guru strappato alla Citroën, l’eclettico manager-poeta Oliver François) e dulcis in fundo Moretti.
Ora: il vero motivo per cui il manifesto spara è anche un minuscolo «conflitto d’interesse». I due ex curatori del festival a via Tomacelli sono di casa. La D’Agnolo - stimatissima professoressa - è addirittura fra i collaboratori del giornale. E che tra Moretti e il quotidiano comunista non corra buon sangue è verità consegnata alla storia del cinema: fu memorabile lo sgarbo del manifesto che nel giorno dell’uscita del Portaborse (1991), dedicò una intera apertura all’esaltazione del «fascistissimo» Clint Eastwood e del suo La Recluta. E tutti i morettiani sanno che Nanni rese pan per focaccia con una esilarante crocifissione del critico del quotidiano, irriso dalla declamazione sarcastica di una sua sviolinata al trash-movie Harry pioggia di sangue in Caro Diario («Harry è un serial killer che vive una pazzesca solidarietà con le sue vittime....», per chi ha visto il film). Ma il manifesto è l’unico quotidiano ad aver capito che nell’Era Veltroniana, nel tempo in cui l’Unione perde nelle campagne vandeane e vince nelle metropoli colte e borghesi, un festival conta più di Frattocchie e Botteghe Oscure messe insieme. Il cinema è come una scuola quadri più un minculpop, è soldi-più-egemonia, e Veltroni - nel tempo in cui Prodi e suoi ministri sono fischiati ovunque - è il primo politico italiano che fa il tutto esaurito (a pagamento) per una lezione sulla politica tutta intessuta di video e film. Ecco perché Francesco Rutelli si trincera a difesa di Venezia (garantendo che il nuovo Palacinema si farà) e fa le sue «più forti congratulazioni a Moretti».

Ed ecco perché in una città risanata, in cui a Natale invece delle luminarie il centro era affollato di «istallazioni visive» degli artisti trendy, in cui il sindaco ha già messo su un comitato Torino 2011, per il «150ennale dell’Unità d’Italia» (!!!) strappare Nanni a Roma conta come un tempo portare Van Basten al Milan. Dice Chiamparino: «Nanni è l’uomo giusto per reggere la competizione con Roma». E Veltroni: «L’Italia è un grande sistema in cui ci sono anche dei derby affascinanti». Parlano di calcio, cinema o di politica?

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