"È come Bin Laden": così il capo di Hamas riesce a sfuggire a Israele

Il capo di Hamas è un fantasma perennemente in fuga, che raramente esce dalla "metropolitana" di Gaza. Usa e Israele cercando di catturarlo da mesi, senza riuscirci. Una vita rocambolesca tra astuzie e metodi "analogici"

"È come Bin Laden": così il capo di Hamas riesce a sfuggire a Israele
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Eliminati Ismail Haniyeh e Mohammed Deif, per Tel Aviv ora è caccia a Yahya Sinwar, terzo uomo di Hamas, ora numero uno dell'organizzazione palestinese. Non si tratta di dare la caccia a un criminale comune: Sinwar è forgiato da una vita in semiclandestinità, tra grovigli di tunnel e un esercito di pretoriani pronti a dare per lui la vita. Di trucchi per stanarlo, il Mossad come la Cia, ne hanno inventati a bizzeffe. Il New York Times racconta di quando, mesi fa, Yoav Gallant premeva per fornire ad Hamas le batterie chieste per Gaza. Obiettivo? Indurre Sinwar a profittarne, ricaricando il proprio cellulare, in modo da usarlo e renderlo rintracciabile.

Il 31 gennaio scorso, l'intelligence di Tel Aviv è stata a un passo dal prenderlo, facendo irruzione in un complesso di tunnel nella Striscia di Gaza meridionale. Le informazioni erano giuste. Se non fosse che Sinwar aveva lasciato il bunker sotto la città di Khan Younis solo pochi giorni prima, lasciando dietro di sé documenti e pile di shekel israeliani per un totale di circa 1 milione di dollari. Da allora, è stato ovunque, senza finire nella trappola di Tel Aviv o Washigton, nonostante agenti israeliani e americani hanno creato una unità speciale all’interno del quartier generale dello Shin Bet, con lo specifico scopo di acciuffarlo.

Ma dove si troverebbe ora Sinwar? Durante le prime settimane di guerra, i servizi segreti e i funzionari militari israeliani ritengono vivesse in un dedalo di tunnel sotto Gaza City. Durante uno dei primi raid in un tunnel, i soldati israeliani hanno trovato un video, girato giorni prima, in cui era intento a trasferire la sua famiglia in un altro nascondiglio sotto la città. A novembre, un ostaggio israeliano liberato aveva riconosciuto come Sinwar l'uomo che si era rivolto a un gran numero di prigionieri israeliani non molto tempo dopo gli attacchi del 7 ottobre. Parlando in ebraico, imparato negli anni trascorsi in una prigione israeliana (venne rilasciato nell'ottobre 2011 insieme ad altri 1.000 prigionieri nell'ambito di uno scambio con Gilad Shalit), Sinwar li aveva rassicurati sul fatto che non sarebbe stato fatto loro alcun male.

Negli ultimi mesi Sinwar non è mai comparso in pubblico, ha limitato le comunicazioni all'osso, non fornisce indicazioni sui suoi programmi. Un ologramma perennemente in fuga. Il leader di Hamas avrebbe abbandonato telefoni e device di vario genere da tempo, il che gli ha permesso di sparire dai radar dell'intelligence. Esattamente come la sua organizzazione, che avrebbe fatto delle comunicazioni analogiche il "segreto" del successo dell'operazione del 7 ottobre così ben orchestrata per almeno due anni. Sinwar comunicherebbe con i suoi accoliti attraverso una rete di galoppini armati di pizzini, come altri leader di Hamas prima di lui e terroristi del calibro di Osama bin Laden. Un sistema sicuro ma che rende claudicante l'organizzazione, poiché tra domanda e risposta possono passare dei giorni e questo rende Hamas poco veloce.

A differenza di bin Laden, a scadenze fisse pronto a sbraitare dalle grotte in cui si nascondeva, Sinwar sta combattendo una guerra contro Israele con un "esercito" alla stregua di una milizia nazionale. Nonostante tutto, gli viene riconosciuta una leadership da amici e nemici: tra Doha e Il Cairo, i rappresentanti di Hamas pendono dalle sue labbra anche in sua assenza, necessitando del suo placet per prendere decisioni importanti, marcare stretto la controparte, ottenere impegni e garanzie. Ma la domanda da un milione di dollari è se l'uccisione di Sinwar-oltre alla cattura- possa essere un vantaggio per il futuro dell'area.

La sua morte offrirebbe a Benjamin Netanyahu una vittoria di Pirro: eliminare la cupola di Hamas senza però poter misurare l'impatto che questa avrebbe sui negoziati per il rilascio degli ostaggi rapiti.

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