Guglielmo furioso crea solo tensione

Sono le giornate di Guglielmo il furioso. Si scrive del segretario della Cgil, Epifani, che pur avendo tratti e carattere da ragionier Fantozzi ormai è partito per la guerra lancia in resta. Prima ha rotto il dialogo con Mariastella Gelmini, che aveva messo sul piatto alcuni provvedimenti per i ricercatori, qualche rientro dei tagli all’università e la disponibilità a discutere. Cisl e Uil, sindacati che ritengono di essere pagati dagli iscritti per trattare non per crociate politiche, hanno accettato di incontrarsi e di riflettere sull’interruzione dello sciopero di venerdì 14 novembre negli atenei. Guglielmo il furioso ha detto «non sia mai, non s’interrompe così una lotta». Ancora più rabbiosa la sua reazione dopo che si è diffusa l’indiscrezione che i segretari della Cisl e della Uil, e poi il presidente di Confindustria, si sarebbero incontrati con il presidente del Consiglio. «Un terribile vulnus» ha detto.
Il nostro ne ha fatte di tutti i colori: si è incontrato a più riprese con Walter Veltroni per pasticciare sulla vicenda Alitalia (il segretario del Pd guarda con affetto al segretario della Cgil perché sulla scena oggi è l’unico più sbandato di lui) ed è finito a proclamare (con uno slogan sessantottino: unifichiamo le lotte) uno sciopero generale della sua sola organizzazione (lui voleva rimandarlo a febbraio, ma metalmeccanici, funzione pubblica e pensionati gli hanno imposto il 12 dicembre). Uno sciopero dalla piattaforma scombiccherata che chiede addirittura al governo di togliere qualcosa ai lavoratori (gli sgravi fiscali sugli straordinari) per ridarglieli come esenzioni sulla tredicesima. Uno sciopero mirato anche contro la riforma della contrattazione presentata da Confindustria e considerata ottima base d’intesa da Cisl e Uil. Sulla riforma della contrattazione la limpida posizione di Epifani è: non sono d’accordo ma non mi alzo dal tavolo della trattativa.
Ora questa brillante impostazione è completata dalla mossa sindacalmente assurda di piazzarci su anche uno sciopero generale. Il tutto mentre gli uomini della Cgil, guidati dal lungimirante stratega, non firmano più un contratto: né quello del commercio (accordo separato con Cisl e Uil) né quello del pubblico impiego (intesa tra Renato Brunetta e i sindacati riformisti). Su quest’ultimo accordo il capo della funzione pubblica Cgil Carlo Podda ha ammesso che lo sforzo dell’esecutivo di cacciare ben 6 miliardi di euro per chiudere il contratto in questa fase di difficile crisi, era consistente ma ha chiesto che venissero assunti tutti i 57mila lavoratori legati da contratti non a tempo indeterminato alla pubblica amministrazione. Una pietra tombale su qualsiasi flessibilità e selezione qualificata.
La crisi crea preoccupazione, lo sbandamento della Cgil alimenta tensioni e anche disgregazione come nel caso degli scioperi folli dei 130 di Fiumicino (nella vicenda Alitalia per fortuna il peso di un leader riformista, Fabrizio Solari segretario della Filt, ha limitato i danni di Epifani che però è tornato a invocare impossibili mediazioni con gli «impazziti»). Il governo mantiene un’iniziativa positiva. Anche grazie alla saggezza di Cisl e Uil. E di Confindustria. Il rapporto con il riformismo sindacale è prezioso.

E i diritti di chi lavora sono inviolabili. Nei servizi di fondamentale utilità generale, come i trasporti, si tratta però oggi di riflettere su forme di esercizio del sacrosanto diritto di sciopero che tutelino anche la comunità nazionale.

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