Hamas e Fatah fanno la pace: sì al governo di unità nazionale

Il testo dell’accordo non fa però riferimento al riconoscimento di Israele e agli accordi di pace siglati in passato dall’Anp e dall’Olp

Su qualcosa alla fine si son messi d’accordo e nell’entusiasmo per quel successo, mai raggiunto nei precedenti mesi di negoziati, l’han chiusa lì. Ma la calata del sipario sulla maratona negoziale della Mecca non risolve uno dei principali punti di attrito tra Fatah e Hamas. Pur accordandosi sulla formazione del governo di unità nazionale e sulla spartizione delle cariche ministeriali, Hamas e Fatah non sciolgono il nodo cruciale del riconoscimento di Israele e degli accordi di pace firmati in passato dall’Autorità nazionale palestinese e dall’Olp. Ma nella migliore tradizione mediorientale le due delegazioni hanno deciso d’accontentarsi. Il sovrano saudita re Abdullah, supremo giudice dell’intesa raggiunta nel palazzo reale prospiciente la Grande Moschea, “sancta sanctorum” del culto musulmano, è stato al gioco e ha presenziato alla firma dell’accordo siglata dal presidente palestinese Mahmoud Abbas e dal capo in esilio di Hamas Khaled Meshaal. Per sopperire alla clausola inevasa sul riconoscimento d’Israele e sul rispetto degli accordi già sottoscritti ci si è accontentati di una formula pronunciata, lì per lì, da Abbas. Una formuletta breve breve, con cui il presidente chiede a Hamas di dar vita a un esecutivo pronto a tener fede a tutte le intese già raggiunte. La formula, seppur sufficiente a dar vita al nuovo governo, non garantisce necessariamente né la fine del boicottaggio internazionale né la fine dei dissidi tra le due formazioni. E il ministro degli Esteri israeliano Tzipi Livni non ha perso l’occasione di ricordarlo alla comunità internazionale.
L’accordo della Mecca non garantisce, infatti, né il riconoscimento d’Israele, né il rispetto degli accordi di pace pregressi, né la rinuncia all’uso della violenza. Sia Israele, sia il “quartetto diplomatico” formato da Stati Uniti, Unione Europea, Onu e Russia potrebbero dunque considerare insufficiente una formula affidata alle esortazioni del presidente palestinese, e non ratificata da alcuna firma formale. Quel mancato accordo rischia anche di far insorgere ulteriori complicazioni in seno a un governo con i ministri di Finanze ed Esteri coinvolti nelle trattative internazionali condotte dal presidente Mahmoud Abbas. Non appena il presidente e i due ministri dovessero firmare accordi basati su intese pregresse il resto dell’esecutivo controllato da Hamas potrebbe insorgere, innescando nuovamente i sanguinosi scontri che hanno portato Gaza alla soglia della guerra civile.
Ieri sera sia Hamas sia Fatah preferivano sottolineare l’importanza degli accordi raggiunti dopo due mesi di combattimenti, rapimenti e uccisioni. Illustrando «l’accordo della Mecca» i portavoce di Fatah hanno fatto sapere che il nuovo esecutivo continuerà a venir guidato dal premier fondamentalista Ismail Haniyeh, che potrà contare su almeno nove ministri provenienti dalle file del suo partito, mentre Fatah avrà a disposizione sei poltrone. Gli altri quattro partitini presenti in Parlamento avranno un ministro ciascuno.

Ma il nocciolo dell’accordo riguarda la nomina di Ziad Abu Amr agli Esteri e il ritorno delle Finanze nelle mani di Salam Fayyad, un ex funzionario della Banca mondiale assai gradito a Washington. La carica degli Interni, fondamentale per il controllo della sicurezza, verrà assegnata dal presidente sulla base di una rosa di cinque candidature sottoposte da Hamas.

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