Gian Micalessin
da Beirut
Dopo la partita irachena e quella libanese Teheran si prepara, se non a vincere, almeno a egemonizzare anche la contesa palestinese. Lo fa capire senza mezzi termini il primo ministro di Hamas Ismail Haniyeh scegliendo la capitale iraniana come meta per la sua prima trasferta allestero e come tribuna per un messaggio di fuoco allOccidente e al «regime sionista». «Larroganza mondiale degli Stati Uniti e dei sionisti vuole imporci di riconoscere lusurpazione delle terra di Palestina - spiega Haniyeh nel suo sermone pronunciato davanti a migliaia di fedeli riuniti alluniversità di Teheran per la preghiera del venerdì -, vogliono costringerci a fermare la guerra santa e la resistenza per farci accettare gli accordi raggiunti con il nemico in passato».
Il premier fondamentalista dellAutorità palestinese non esita, alla vigilia di un importante colloquio con la Guida suprema Alì Khamenei, a parlare di legame strategico con la Repubblica islamica, ad ammettere i finanziamenti iraniani e a escludere qualsiasi possibilità di un riconoscimento dello Stato ebraico e degli accordi stretti in passato dallAutorità nazionale palestinese. «Io insisto da questo podio nel promettere che tutte queste ipotesi non si materializzeranno. Non riconosceremo mai il governo dellusurpatore sionista e continueremo a seguire la strada della guerra santa fino alla liberazione di Gerusalemme». Subito dopo Haniyeh fa un elogio spassionato della Repubblica islamica illustrando lappoggio fornito alla resistenza palestinese. «Loro si illudono che la nazione palestinese sia rimasta sola, ma è unillusione... Abbiamo un profondo legame strategico con la Repubblica islamica dellIran, questo Paese per noi rappresenta un vincolo potente, dinamico e profondo».
Su quale sia il senso delle parole di Haniyeh cè poco da elaborare. Il suo discorso è un potente calcio negli stinchi al presidente palestinese Mahmoud Abbas, impegnato in un negoziato senza fine per convincere Haniyeh a lasciare la poltrona e dar vita a un governo nazionale con Fatah. Un secco «me ne frego» urlato in faccia a Stati Uniti ed Europa, ma anche agli altri due partner del Quartetto diplomatico (Russia e Nazioni Unite), pronti a riaprire la borsa dei finanziamenti internazionali allAutorità palestinese in cambio di unonorevole ritirata di Hamas dallesecutivo. Haniyeh e i suoi ministri non hanno evidentemente nessuna intenzione di lasciare le loro poltrone. Nessuna intenzione di dividere il potere con gli sconfitti di Fatah.
Non a caso mentre Haniyeh parlava allUniversità di Teheran decine di migliaia di dimostranti fondamentalisti scendevano nelle strade di Gaza per chiedere al primo ministro di non dimettersi e ad Hamas di non dividere il potere. I 120 milioni di dollari ricevuti dallIran e le promesse di ulteriori aiuti in cambio di un legame di ferro bastano evidentemente a spazzar via lipotesi di un compromesso con Fatah e con lOccidente. Teheran in questo momento è pronta a pagare qualsiasi prezzo per mettere a segno punti preziosi nella sua contrapposizione globale con America, Europa e Paesi arabi sunniti. Quella contrapposizione spazia ormai dal nucleare ai campi di battaglia iracheni per estendersi, attraverso Libano e Palestina, a tutto il Medio Oriente.
Deciso ad approfittare della debolezza americana, lIran chiama a raccolta sostenitori e alleati presentando le armi allavversario. Lo fa in Irak, dove loffensiva delle milizie sciite fa capire che non vi sarà stabilità senza una discesa di Washington alla Canossa iraniana. Lo fa in Libano, dove Hezbollah è a un passo dal far cadere il governo Siniora. Lo fa in Palestina, rendendo esplicito laggancio politico e militare di Hamas avviato nel 2000 allinizio della seconda intifada. E a far capire che la generosità iraniana non è ancora esaurita ci pensa il vicepresidente Parviz Davoudi.
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