Hezbollah ricatta Siniora: «Noi al governo o si vota»

Libano: ultimatum del leader Nasrallah, che entro il 13 novembre vuole un terzo dei ministri. «Il nostro disarmo trasformerebbe il Paese in un nuovo Irak». E la missione Unifil si complica

Gian Micalessin

La data è già fissata. Il golpe istituzionale di Hezbollah e dei suoi alleati filosiriani scatterà il 13 novembre. Quel giorno, se il primo ministro Fouad Siniora non allargherà la partecipazione di Hezbollah e dei suoi alleati all’esecutivo concedendogli il controllo di un terzo dei ministri, i militanti sciiti scenderanno in piazza e il Libano si ritroverà a fare i conti con la minaccia di una nuova guerra civile. A tremare non è solo Fouad Siniora. Da ieri i governi di Francia e Italia, capifila della nuova missione Unifil in Libano, devono fare i conti con gli azzardi di una missione decisa senza valutarne rischi e implicazioni. Se Hezbollah si trasformerà, come promette, nel «deus ex machina» della politica di Beirut la risoluzione 1701 e la missione Unifil perderanno ogni senso. Hezbollah diventerà il responsabile politico di un esercito libanese chiamato in teoria a disarmarlo.
I soldati della missione internazionale dovranno decidere se restare, legittimando con la propria presenza il nuovo esecutivo imposto da Hasan Nasrallah, voluto dalla Siria e benedetto da Teheran o se invece ritirarsi sancendo l’ennesima catastrofe delle Nazioni Unite. La terza alternativa poco auspicabile sarebbe quella di continuare la missione di disarmo senza l’ausilio dell’esercito libanese. Quella scelta, come fa capire il diktat pronunciato martedì notte da Hasan Nasrallah davanti alle telecamere della sua Al Manar, segnerebbe l’inizio dello scontro aperto tra i caschi blu e i guerriglieri sciiti. «Ogni tentativo di disarmare le nostre milizie trasformerebbe il sud del Paese in un nuovo Irak o in un nuovo Afghanistan», ha detto Nasrallah in quella che viene interpretata come la prima minaccia diretta dall’avvio, ai primi di settembre, della nuova missione internazionale. Una minaccia che pochi prendono sottogamba viste le stragi di marines e paracadutisti francesi con cui gli attentatori suicidi del neonato Partito di Dio misero fine, nel 1983, alla prima missione di pace internazionale in Libano.
Le minacce più dure di Nasrallah sono però per Fouad Siniora. «Secondo il nostro concetto di governo di unità nazionale tutte le principali forze politiche libanesi devono poter avere un ruolo concreto ed effettivo, e non semplicemente una partecipazione di semplice facciata». Il ruolo concreto ed effettivo a cui mirano Hezbollah e i suoi alleati filosiriani, tra cui il presidente Emile Lahoud, il presidente del Parlamento Nabih Berri e l’ambizioso generale Michael Aoun, è il controllo di un terzo dei ministeri. Con quella percentuale il blocco filosiriano potrebbe imporre il veto su qualsiasi questione cruciale. Le prime due decisioni destinate a venire immediatamente bloccate sono il disarmo di Hezbollah e il decreto per l’affidamento a una Corte internazionale del processo sull’assassinio dell’ex premier Rafik Hariri.
Hasan Nasrallah nel suo diktat televisivo di tre ore ha imposto al premier Siniora trattative immediate per la formazione del nuovo governo, seguite in caso di mancato accordo dalle dimostrazioni di piazza del 13 novembre. La prima a prendere posizione contro quel ricatto - definito una mossa manovrata da Siria e Iran - è la Casa Bianca.

«L’appoggio per un Libano sovrano e democratico è un elemento chiave della politica statunitense in Medio Oriente - ha detto il portavoce Tony Snow –. Siamo molto preoccupati dai sempre più evidenti piani di Iran, Siria, Hezbollah e dagli altri loro alleati libanesi per destituire il governo eletto democraticamente di Fouad Siniora».

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