Ho Davies, il bello della vita è l’anima delle persone

Il cronista letterario rischia a volte di partire col piede sbagliato: se l’autore gli è del tutto nuovo, cosa di per sé sospetta, e per di più dirige un corso di scrittura creativa ancorché in una università americana, egli si accingerà a leggere il suo libro credendo già di saperla lunga. Poi magari, per la soddisfazione di una scoperta inusitata, sarà contento di veder smentita la propria supponenza. È quel che capita di fronte ai racconti di Peter Ho Davies, Aspettando Lady Godiva (Sartorio, pagg. 230, euro 14). Il fatto è che, perdurando la stagione in cui molti giovani autori sembrano gridare solo il loro “io, io, io”, Peter Ho Davies, nato nel ’66, figlio di una cinese e di un gallese, esploratore delle proprie identità britanniche, cinesi e malesi, laureatosi in medicina e in inglese, trasferitosi da alcuni anni negli Stati Uniti dove ha raccolto riconoscimenti e incarichi, rappresenta una vera svolta, poiché nessuna delle sue storie è dominata da una singola voce schiacciante, dalla pulsione di fare di sé il parametro del mondo. No, Ho Davies è tutto calato nel mettere in evidenza i legami tra le persone, dove le opinioni individuali, le situazioni, i caratteri, sembrano in funzione del variegato tessuto di quei rapporti. Sono essi lo spettacolo prezioso della vita, e la loro rappresentazione non può essere che lineare, rispettosa, consapevole del proprio stupore. In Aspettando Lady Godiva, il racconto che dà il titolo al libro, il lettore, malgrado alcune rozzezze di traduzione, entra subito in quest’atmosfera umana, semplice e credibile. Siamo a Coventry, poco prima di mezzogiorno, davanti al grande orologio, in attesa che, nello scoccare delle dodici, esca da uno sportellino sul quadrante Lady Godiva a cavallo, ricoperta dal suo manto di capelli biondi, e compia la sua passerella meccanica. Ad assistervi ci sono un giovane insegnante disoccupato, Chris, e il suo nuovo amico Frank, pensionato-baby. Aspettano in realtà, più che Lady Godiva, l’apertura del pub dove bevono quando vanno a fare la quindicinale firma per il sussidio. Discosta, c’è anche la giovanissima Lisa, figlia di Frank, ex allieva e segreta amante di Chris, che fa la guida a un gruppo di turisti ed è indispettita dalla presenza del padre. Il resoconto in prima persona di Chris, in cui le riflessioni e i flash-back si alternano alla cronaca minuta delle ore passate con Frank, il pub, la bevuta eccessiva, le freccette, la visita comune fatta all’ottico e la salita sulla torre campanaria, sono tutti elementi narrativi che trasformano il quotidiano in un prisma da cui sembrano riverberare gl’interrogativi dell’esistenza. La profondità dei rapporti umani e dei legami familiari sono forse ancor meglio espressi in un altro racconto, La casa più brutta del mondo. La storia è raccontata da un giovane medico di pronto soccorso. È preoccupato e scontento perché il padre, fatto fuori dalla direzione dell’azienda in cui lavorava da trentacinque anni, ha voluto comprarsi con la maxiliquidazione un malandato cottage nel Galles andandoci a vivere. Vicina, c’è «la casa più brutta del mondo». Nel Galles c’era un tempo una legge per cui se riuscivi a costruire una casa in un giorno e a dormirci dentro per una notte, diventavi proprietario di un acro di terra circostante. La casetta di una stanza coi muri di pietra a secco, insieme all’acro di terra, erano finiti col far parte della proprietà di un agricoltore. Il quale, dopo che la figlia Kate è tornata da Liverpool incinta a 16 anni, ha pensato di trasformare quella curiosità in attrazione per i turisti, e l’ha insignita d’un cartello, «La casa più brutta del mondo», vantandone anche la leggenda che Orwell vi avrebbe passato una notte mentre lavorava a Senza un soldo a Parigi e a Londra. Intanto, Kate ha imparato a fare la parrucchiera, e il suo bambino è diventato il piccolo amico del signore del cottage vicino, che ha la passione di entrare a mezza gamba nel torrente a tastar piano fra i massi per “fare il solletico” alle trote. Un giorno che spera di poter assistere finalmente a quella pesca a mani nude, il bambino si dondola sul pilastro del cancello del cottage, e il pilastro di ardesia crolla su di lui uccidendolo. A tragedia avvenuta, la rievocazione dell’intera storia fatta dal giovane dottore, le visite al padre e i colloqui con lui, la relazione intessuta con Kate, i rapporti che si stabiliscono tra lui e il bambino e tra questi e il padre, sono attraversati da una pervasiva e contagiosa bonomia, da un senso di normalità di destino, per quanto doloroso.

Sulla bravura di Peter Ho Davies, indicato dalla rivista letteraria Granta fra i venti migliori scrittori di lingua inglese, si sono sprecate di recente parole forse anche un po’ eccessive, attribuendo alla sua prosa echi di Joyce e di Raymond Carver (cui potremmo aggiungere il nome di Stephen Crane), ma non è mal riposta la speranza che egli possa produrre qualcosa d’importante. Intanto proponiamo che venga offerta in italiano la seconda raccolta di racconti, Equal Love.

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