"Ho staccato la spina al neonato senza speranza"

La confessione choc. Una dottoressa di Treviso racconta il dramma in corsia: "Così è morto tra le braccia della madre". La Procura indaga. La replica: "Non è eutanasia, così si evita l'accanimento"

"Ho staccato la spina al neonato senza speranza"

TrevisoA Padova tengono un convegno su etica e medicina e alla dottoressa Nadia Battajon quella pare la sede adatta per parlare, forse per sfogarsi. Lei lavora al reparto di Patologia neonatale dell’ospedale Ca’ Foncello di Treviso, un posto dove la speranza, la gioia e la tragedia si mescolano quotidianamente. L’intervento del medico è decisivo per consentire alla vita appena sbocciata di proseguire e per riportare il sorriso sul volto di genitori disperati. A volte questo non riesce e al posto del sorriso compaiono le lacrime.
«L’ultima volta che è successo - racconta la dottoressa ai colleghi - è stato quando abbiamo ricevuto in reparto un neonato affetto da gravi malformazioni, già operato e senza prospettive di ripresa. Aveva pochi giorni, pesava un chilo e ci siamo detti che non aveva più senso accanirci con le terapie. I genitori sono stati d’accordo e abbiamo bloccato la somministrazione dei farmaci. Il bimbo è morto poco dopo». Dal convegno tra professionisti la notizia è arrivata al Corriere del Veneto e, «per atto dovuto», il procuratore della repubblica di Treviso, Antonio Fojadelli, ieri ha aperto un fascicolo per verificare come siano andate veramente le cose. «La vicenda - ha spiegato il procuratore - va presa in considerazione per gli aspetti giuridici che la riguardano, poiché la magistratura non si occupa di etica. In questa fase il nostro lavoro è solo di verifica dei fatti».
Già, i fatti. Come se fosse facile tirare una riga in un reparto di patologia neonatale: di qua sta il bene, di là sta il male. Ieri l’Asl 9 di Treviso ha spiegato in una conferenza stampa, a cui ha partecipato anche la dottoressa Battajon, i criteri di comportamento seguiti dai medici.
Difficile, ma inevitabile visto l’intervento della Procura, parlare di codici, di leggi, di comitati quando si discute di questi casi drammatici. «Abbiamo applicato la mozione del Comitato nazionale per la bioetica», si è difesa la dottoressa. «È del tutto fuori luogo parlare di eutanasia - ha aggiunto il direttore sanitario, Michele Tesserin - ed è fuorviante accostare il caso del neonato a quello di Eluana Englaro». «Il nostro sforzo - ha concluso il presidente del comitato di bioetica dell'Usl n.9, Camillo Barbisan - è quello di umanizzare l'inarrestabile processo del morire, tanto che a Treviso abbiamo individuato degli spazi in cui, in casi simili a quello del neonato, non solo i genitori, ma anche i nonni o i congiunti più stretti, possano accompagnare con il loro affetto gli ultimi istanti di vita di un bambino per il quale nessuna terapia possa ancora avere il minimo effetto sullo spostamento significativo del momento della morte».
Considerazioni buone per dibattere davanti a un magistrato, ma che non possono essere applicate con il distacco di un burocrate quando in reparto arriva un neonato a cui bisogna fare l’impossibile per salvare la vita. Per restare al caso raccontato al convegno, succede che i genitori implorino di salvare questo fagottino nato cinque giorni prima. Pesa un chilo, ha malformazioni gravissime, non ha chance. Che fa un medico? Ci prova, come ha fatto l’equipe della dottoressa Battajon. Ma se anche dopo un intervento chirurgico la ripresa non arriva, si deve insistere? «Curare un bimbo morente - sostiene la dottoressa - significa aver cura di ogni suo momento rimanente, e consentirgli di morire fra le braccia dei genitori, anziché, comunque e di lì a poco, in un lettino isolato e collegato a decine di cannucce e cavi. Questa è senz'altro la scelta migliore per tutti». Casi così ce ne sono stati altri cinque o sei, a Treviso.
I genitori, distrutti dal dolore, hanno sempre condiviso le scelte dei medici.

«Il bimbo era attaccato alle macchine - ha ricordato Nadia Battajon a proposito dell’ultimo caso - e abbiamo chiesto alla madre se volesse prenderlo in braccio un’ultima volta. Subito ha detto che non se la sentiva, poi ha cambiato idea. L’ha preso e poco dopo è morto tra le sue braccia».

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