I bamboccioni non si cancellano con una legge

Non sopporto le persone in genere, e i politici in particolare, che a ogni problema, invece di dare o suggerire la miglior soluzione, gridano a gran voce «bisogna fare una legge». Come se i cittadini italiani a) fossero dei dementi, b) rispettassero le leggi, c) conoscessero, soprattutto, le leggi già esistenti.
L’ultima è del ministro Brunetta, che pure rispetto e stimo, per altre iniziative interessanti e proficue, il quale vorrebbe una legge per obbligare i figli a uscire da casa a diciotto anni. Oltre ai tre punti precedenti, il ministro dimentica che: d) una legge dello Stato impone ai genitori di educare, mantenere, istruire i figli fino all’autonomia; e) molte mamme italiane si sottrarrebbero loro stesse al diktat diventando corree e fuorilegge senza alcun senso di colpa; f) mancherebbero case e posti di lavoro per accogliere i diciottenni in odore di autonomia; g) gli spacciatori di droghe stapperebbero champagne il giorno della pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale; h) la prostituzione da strada e da salotto avrebbe un’impennata ingestibile dal giorno dopo; i) lo Stato avrebbe il problema del foglio di «via dalle case» dei recalcitranti diciottenni, quando non è ancora in grado di accompagnare alla frontiera gli extracomunitari clandestini; l) ci sono migliaia di leggi inutili in Italia, ma soprattutto molti articoli dei codici inapplicati perché sconosciuti anche ai giudici e agli avvocati; m) il bilancio dello Stato non consentirebbe l’erogazione di tanti sussidi di disoccupazione quanti ne servirebbero con questa legge.
Ma come si può pensare che un ragazzo, o ragazza, di diciott’anni sia a quest’età pronto - per legge - alle fatiche della vita? Ciò sarebbe possibile se lo Stato, tramite le istituzioni, quali principalmente famiglia scuole e tribunali, non avesse coltivato i cittadini, e dunque genitori e figli, alla regola dell’assistenzialismo, del garantismo, del protezionismo. Quest’Italia, nata come Repubblica fondata sul lavoro, si è trasformata nel bengodi del lavoro degli altri, che assicura la propria sopravvivenza. Ci sono figli che vedono i genitori non pagare i debiti, perché contano sul favor debitoris assicurato dall’inefficienza della giustizia italiana. Altri che assistono all’entusiasmo vendicativo di un padre licenziato per incapacità e poi reintegrato o risarcito per la patologia garantista del giudice. Altri ancora che ammirano e sfruttano la furbizia delle madri, mantenute, in sequenza o contemporaneamente, dal nonno, dall’ex marito e dal nuovo amante.
Come mai potrebbero essere pronti questi diciottenni al senso del dovere, alla responsabilità, alla fatica di ricominciare ogni giorno? Oggi sono convinti che basta diventare «famosi» con una apparizione trash-televisiva per avere diritto, subito dopo, a essere pagati per un’apparizione in un bar, discoteca, evento qualsiasi. Senza talento, merito o fatica. Solo perché esistono e si fanno vedere. Addirittura molte ragazze si sponsorizzano mediaticamente dell’essere escort, per lucrare sui racconti a pagamento della loro triste attività. Anche se non meritoria, non faticosa, non talentuosa. Ragazze, poi, si fa per dire. A trent’anni si dovrebbe essere donne, di nome e di fatto, con tutte le responsabilità onorevoli che la società civile richiede. E che migliaia di uomini e donne trentenni educati all’onestà e alla dignità sanno accollarsi con onore.
Quindi, si può fare. Ma il merito, oltre che loro, è dei genitori che hanno saputo formarli e indirizzarli, senza pietismi e fatalismi; senza premi alla pigrizia e al narcisismo; senza le giustificazioni degli psicologi. Basterebbe che la letteratura, la cultura mediatica, la scuola, il tessuto amicale e parentale, rivolgendosi ai più giovani, insegnassero loro la qualità e l’impegno del fare e fare bene. Dell’essere competitivi con se stessi, come uno sportivo che vuole migliorare ogni giorno la propria prestazione, prima di misurarsi con gli altri.

Dell’aspirare all’autonomia, creata da sé, come indice irrinunciabile di libertà e dignità. Del non appendersi parassitariamente ai genitori, al datore di lavoro, al giudice, allo psichiatra, al coniuge e persino ai figli. Se così fosse, non ci sarebbe bisogno dell’ennesima imposizione in nome della legge.

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