"I banditi sapevano cosa cercare"

Il primogenito della vittima: "Hanno avuto una segnalazione, hanno puntato sulla roba di valore"

"I banditi sapevano cosa cercare"

da Milano

«Ma che tele di Morandi! Ma che mezzo milione di euro di refurtiva in quadri... Non ho ancora rilasciato alcuna dichiarazione su stime e cifre e i colleghi, a volte, si lasciano prendere la mano. Per quel che ho potuto vedere (non sono nemmeno riuscito a entrare in casa, mi sono affacciato in salotto, stando sulle pattine, perché c’erano i carabinieri della rilievi) ho notato che mancano almeno 8 quadri. Opere di Morlotti, Birolli, Cassinari, di Antonio Corpora, un fiammingo del ’500, un paio di opere di arte informale: non avevamo certo dei Burri o dei Fontana. Quella di mio padre era una collezione di medio livello, ma chi lo ha rapinato sapeva cosa cercare, aveva avuto una segnalazione: lo si capisce perché i rapinatori hanno puntato con decisione su determinati oggetti di valore... Per esempio i preziosi. Io non me ne sono mai occupato, ma in casa c’erano gioielli antichi e molto importanti che adesso sono spariti: mia madre, morta due anni fa, si chiamava Susanna Copperi era una nobildonna e la mia bisnonna materna era imparentata con papa Ratti, Pio XI».
Matteo Colturani, 34 anni, è un giornalista che lavora alla redazione sportiva di Telelombardia, figlio maggiore di Marzio Maria, il ginecologo 64enne morto mentre, legato e imbavagliato, veniva rapinato nel suo appartamento da tre slavi. La sua voce addolorata è gentile e per niente spazientita. «Conosco il lavoro del giornalista...» ci dice comprensivo. E il pensiero corre immediatamente al fratello Luca, minore di quattro anni, che abitava con il papà e che è stato coinvolto nella rapina. «Mio fratello è sconvolto, impaurito: è lui che ha soccorso il papà, che l’ha visto morire. Io, a 18 anni, me ne sono andato a vivere sul lago Maggiore, a Sesto Calende, in provincia di Varese: anche se la nostra è una famiglia milanesissima, ero insofferente alla vita cittadina. Ma non crediate che abiti in chissà quale magione: la mia è un’abitazione piccola e modestissima, che i miei genitori hanno pagato facendo un mutuo ventennale. Mio fratello Luca, no, lui ha sempre vissuto con loro e ha studiato a lungo. Si era licenziato dalla farmacia Rembrandt dove era impiegato fino a un paio di mesi fa perché voleva aprire una para farmacia in zona Fiera. Un sogno distrutto perché ci hanno portato via tutto, non abbiamo più niente o, comunque, ci è rimasto poco: non siamo assicurati».
«Non ho la più pallida idea di chi possa essere stato. So che chi ha agito portava i guanti perché non ci sono effrazioni né sul portoncino del giardino, né sulla porta d’ingresso dell’appartamento: i carabinieri mi hanno spiegato che i rapinatori portavano sicuramente i guanti e avevano le chiavi. - continua Matteo Colturani -. La colf moldava? In realtà si tratta di una ragazzina di 25 anni che va regolarmente tre volte a settimana a fare i lavori in casa di mio padre da quando la mamma è morta nel 2005. Sinceramente non so se possa aver avuto a che fare con la rapina: il suo nome è uscito fuori durante l’interrogatorio a cui hanno sottoposto mio fratello subito dopo il fatto. Della serie “a domanda, risposta”: quando il magistrato gli ha chiesto chi, nella nostra famiglia, avrebbe potuto conoscere e frequentare soggetti slavi (secondo la testimonianza di Luca Colturani i rapinatori avevano l’accento dell’est Europa, ndr) lui ha fatto il nome della ragazza. Tutto qui».
Ricordando il padre la voce di Matteo si fa molto dolce. «Si stava riprendendo da poco per la morte di mia madre: si erano amati molto e, quando lei ci ha lasciati, dopo aver lottato nove anni contro due tumori, lui era distrutto.

Quest’estate aveva fatto dare una rinfrescata alla casa, sostituendo la moquette con il parquet, imbiancando i muri, cambiando alcune tappezzerie, mettendo l’aria condizionata in tutte le stanze e mettendo gli infissi antispiffero in alluminio. Credo avesse bisogno di un cambiamento visivo e adesso... Adesso non mi sembra vero che non ci sia più».
paola.fucilieri@ilgiornale.it

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