I colletti bianchi di via Nazionale: «Adesso deve dare le dimissioni»

Il sindacato dei dirigenti: «Fazio non può restare a lungo in trincea». Una guerra scoppiata negli ultimi anni

Silvia Marchetti

da Roma

Nella «trincea» di Fazio, a difenderlo, non sono rimasti nemmeno i dirigenti, ossia i quadri più vicini ai vertici di Bankitalia. Per la prima volta dallo scoppio del «caso Bankitalia», il Sindirettivo-Cida, sindacato dei colletti bianchi di Via Nazionale, scende in campo e chiede tout court la testa del governatore. In gioco c’è il prestigio e l’autorevolezza di Bankitalia, logorata dagli ultimi eventi. I dirigenti invitano Fazio a «compiere un atto di doverosa sensibilità istituzionale, rassegnando le proprie dimissioni». Le condizioni per la sua permanenza sono venute meno: «È impossibile continuare a rinchiudersi in una trincea sempre più isolata a difesa di una carica che al contrario ha bisogno della massima fiducia e della massima autorevolezza presso l’opinione pubblica internazionale, il Parlamento e l’Esecutivo».
La «resistenza» di Fazio, agli occhi dei dirigenti, è solo l’ultimo episodio della «monarchia» che di fatto regna a Palazzo Koch dal 1993. L’attuale governatore, non solo sarebbe poco incline alla collegialità, ma avrebbe anche dedicato pochissimo tempo al dialogo con i sindacati. Ben venga, dunque, la riforma dell’esecutivo, a patto che rispetti l’indipendenza di Bankitalia. Come spiega Omero Papi, presidente Sindirettivo, la riforma è la naturale «conseguenza di alcuni atteggiamenti e comportamenti tenuti dal vertice». Il mandato a termine del governatore, la maggiore collegialità e trasparenza sono dunque «riposte adeguate alla forte inclinazione verso uno stile di direzione monocratico». Insomma, Fazio avrebbe avuto «una limitata propensione ad accettare punti di vista diversi da quelli propri».
I rapporti tra Bankitalia e i dirigenti sono dunque sempre stati tesi, ma lo scontro frontale è scoppiato in questi ultimi anni, approdando direttamente in tribunale. La faccenda riguarda il trattenimento in servizio, oltre i limiti di pensionamento per vecchiaia, di tre funzionari generali. Nel luglio del 2003, il consiglio superiore, senza il consenso dei sindacati che si erano opposti, decise di modificare «unilateralmente» l’articolo 79 del contratto di lavoro che prevede il pensionamento a 65 anni, estendendone il limite a 68. I sindacati si unirono e fecero così causa a via Nazionale: nel febbraio del 2004 il tribunale di Roma ordinò ai vertici di Palazzo Koch - accusati di «atti anti-sindacali» - di provvedere al licenziamento dei funzionari e di ripristinare i termini del contratto originario. I tre dirigenti vanno dunque in pensione, ma a sorpresa a due di loro viene fatto un contratto di consulenza mentre il terzo viene nominato presidente della banca Fideuram. Il governatore, tuttavia, non intende perdere la partita e così a giugno fa ricorso per ribaltare la sentenza. E nonostante questa seconda sconfitta, decide di procedere con un ennesimo appello: l’udienza verrà discussa il prossimo 4 novembre. Con la modifica «unilaterale» del contratto, secondo Papi, Fazio ha «rinnegato il regime di contrattualizzazione» introdotto dai suoi predecessori.
C’è poi la faccenda del contratto scaduto, strettamente legata ai ricorsi in tribunale.

I dirigenti sono ancora «regolati» da quello del 1998-2001. «Il contratto 2002-2005 - spiega Papi - non è stato ancora approvato perché i sindacati chiedono di confermare la clausola di validità che impedisce modifiche unilaterali al contratto».

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