I Comunisti pronti alla guerra sulla missione italiana a Kabul

Roberto Scafuri

da Roma

Nessun problema particolare in politica estera, assicura il ministro degli Esteri, Massimo D’Alema. Con due postille che non sembrano preoccuparlo, a proposito dell’Afghanistan e dell’invio di tecnici italiani nell’area di Bagdad, dove «si può agire in condizioni di relativa sicurezza». Nel frattempo il suo collega della Difesa, Arturo Parisi, garantisce un rientro dall’Irak «entro l’autunno». Ma continuare a chiedere date precise, aggiunge il ministro, «è da irresponsabili: non indicherei la data del rientro neppure sotto tortura».
Il tema del rifinanziamento delle missioni sarà affrontato dal Consiglio dei ministri nella seduta del 30 giugno, prevede il sottosegretario agli Esteri, Gianni Vernetti. Ma il decreto unico (o il doppio decreto, uno per l’Irak e l’altro per le altre missioni) - sul quale è probabile la fiducia - dovrà trovare in sede parlamentare il corredo di una mozione, chiesta con insistenza da Rifondazione e sulla quale c’è già l’assenso di massima dei capigruppo ulivisti.
Non però di quelli dei Verdi-Pdci, tanto che il presidente Manuela Palermi cade dalle nuvole o quasi: «L’idea mi è nota dai giornali, ma che cosa si stia trattando con la mozione mi è del tutto sconosciuto». Per la capogruppo comunista, la mozione «è importante, però ciò che conta è il decreto sull’Afghanistan: se non ci si discosta dalla formulazione del precedente governo, se venisse disposto l’invio di altri soldati o velivoli militari, se non venisse dichiarata la volontà di tirarci fuori dall’Afghanistan, a noi non ci starebbe bene». La Palermi dichiara una «sensibilità diversa» sulla pace rispetto a quella dei rifondatori. «Concorrenza» emersa ieri anche da un’intervista della Stampa al segretario Pdci, Oliviero Diliberto, nella quale chiede a Prodi rassicurazioni sul contenuto del decreto, «altrimenti il nostro sì non è scontato». Diliberto dice che «sono i rifondatori ad aver cambiato opinione, forse perché la loro collocazione politica nel centrosinistra è diversa da quella del Pdci: io non devo dimostrare a nessuno di avere spirito unitario...».
A questo punto l’ottimismo dalemiano può dirsi infranto da considerazioni, almeno sotto il profilo formale e interno alla maggioranza, piuttosto «belliche». «Seguo con relativo distacco le varie dichiarazioni - dice D’Alema -, ma non mi sembra che ci siano state tutte queste divisioni. Se uno fa la tara agli eccessi verbali, l’unico vero punto di dissenso è l’Afghanistan, dove anche chi è più critico non chiede il ritiro, ma si oppone soltanto all’aumento dei soldati». Un problema «circoscritto», sostiene, e un dibattito dove «non ci sono dissensi, ma chiacchiere, battute, osservazioni...». Una la fa ancora la capogruppo comunista Palermi: «Che non ci siano dissensi è opinione di D’Alema, che farebbe bene ad ascoltare tutti, a cominciare da noi magari, e non soltanto i suoi amici dell’Ulivo...». Un’altra l’aveva già fatta Diliberto: «Io i soldati vorrei ritirarli...». E, prima ancora, il rifondatore Russo Spena o ieri il verde Bulgarelli. Forte è la richiesta di «discontinuità», e se ne fa portatore in modo costruttivo il vicepresidente del Senato, Milziade Caprili: «Noi di Rifondazione andiamo a questa discussione sull’Afghanistan in modo molto aperto, evitando di anticipare qualsiasi tipo di decisione. Chiediamo però il segno di discontinuità nella politica internazionale, registrando il fatto positivo del ritiro dall’Irak: nessuno pensava che ci si arrivasse in tempi così rapidi...». Un riconoscimento che non basta a far dormire sonni tranquilli al premier Prodi, che ieri sera ha convocato a Palazzo Chigi sia D’Alema che Parisi. Un mini-vertice nel quale Prodi ha raccomandato la ricerca della massima collegialità con le altre forze, per evitare dissapori e, se possibile, persino il ricorso alla fiducia.

Ma se l’invio di tecnici italiani a Bagdad non manca di suscitare qualche ulteriore sospetto nella sinistra pacifista, la Margherita si propone di «confermare anzi rafforzare la missione in Afghanistan». Mentre alla Difesa l’accento è posto sulla «continuità» e sugli «ottimi risultati» ottenuti dal contingente italiano di stanza a Herat: «Se solo avessero qualche elicottero in più...».

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