I critici del nulla

La morte di Sigfrido Bartolini ci induce a riflettere sul destino dell’arte contemporanea. Intanto, il Giornale allega come inserto il settimanale di cultura il Domenicale presentando uno sconfortante panorama della prossima Biennale di Venezia con due interventi di Beatrice Buscaroli e di Luca Beatrice. Il giudizio non è severo, è durissimo. Non si vorrebbe credere a quello che scrive un osservatore informato e attento come Luca Beatrice.

Per quanto riguarda gli artisti italiani, Ida Giannelli, «dopo due anni di duro lavoro, ha ritenuto sufficienti gli inviti di Giuseppe Penone (maestro dell’arte povera, quindi roba sua) e Francesco Vezzoli (alla terza Biennale sulle ultime quattro). Il suo illuminato collega David Ross, personaggio dal curriculum inappuntabile, ha fatto anche di peggio. In Italia non si è mai visto, tranne che nelle conferenze ufficiali, ed esercitando tutta l’arroganza che il ruolo gli conferisce - in confronto Bush sembra madre Teresa di Calcutta - ha inserito nella mostra quei 4-5 italiani che vivono a New York, gli unici che conosce e che gli capita di incontrare nei salotti, o che gli sono stati segnalati in quanto amici degli amici: Paolo Canevari novello sposo di Marina Abramovic, Luca Buvoli e Angelo Filomeno residenti a Manhattan da oltre 15 anni che coll’arte di casa nostra hanno ben poco a che fare».

È arrivato il momento di dire che l’inganno, l’incapacità e la finzione, oltre all’inevitabile gioco del mercato, da anni impediscono di restituire un veridico e variato panorama degli artisti contemporanei, soprattutto in Italia dove persone ignoranti e presuntuose credono di poter stabilire per tutti, seguendo il metodo di David Ross, quello che è buono e quello che è cattivo, quello che è contemporaneo e quello che non lo è. L’arte per loro segue gli stessi criteri della moda; e, anzi, l’indirizzo sembrano darlo proprio gli stilisti attraverso fondazioni che pretendono di orientare il gusto senza averlo. Signore e signorine prive di cultura e di conoscenza storica, naturalmente dotate di molto danaro, indicano e sostengono le ultime tendenze in modo assolutamente arbitrario e con il controcanto di qualche rivista commerciale che ambisce a stabilire criteri e graduatorie di artisti e di gallerie.

L’ente pubblico non disponibile a farsi ricattare è ignorato e vilipeso, anche se a una mostra al Pac, il padiglione d’arte contemporanea di Milano, giudicato da un «curatore indipendente», Andrea Lissoni, non si sa con quale autorevolezza, «del tutto privo di ogni pensiero progettuale e di visione» (lo dice dall’alto della competenza che gli riconosce Giancarlo Politi, noto per avere invitato alla Biennale di Tirana artisti inesistenti proposti da un finto Oliviero Toscani) sono andate, in meno di due mesi, sessantamila persone, come mai a una mostra di giovani artisti. Naturalmente il giudizio critico prescinde dalla qualità dell’artista, che è più apprezzato se è un buon pubblicitario.

Non c’è la luce di un pensiero nelle valutazioni di chi si vanta di avere individuato e dato spazio ad «artisti » come Maurizio Cattelan, Damien Hirst, Jeff Koons, Vanessa Beecroft considerati, senza ironia, «i protagonisti della cultura contemporanea negli ultimi cinquant’anni ». È sconfortante non soltanto pensare che qualcuno possa lasciarsi incantare da bufale come questa,mache Politi le dica e le creda veramente. Gli ultimi cinquant’anni. Gli ultimi cinquant’anni sono quelli di De Chirico neometafisico, di Fontana spazialista, di Burri, per ricordare maestri attivi nella piena maturità; ma sono soprattutto, per chi ha il senso della storia, gli anni di Francis Bacon, di Domenico Gnoli, di Lucian Freud, di Antonio Lopez Garcia, di Willy Varlin, di Gianfranco Ferroni, di Piero Guccione, di Roberto Innocenti, di Benito Jacovitti, di Ferec Pinter, di Leonardo Cremonini, di Karl Plattner, di Valerio Adami, di Mario Schifano, e anche di Kitay, di David Hockney, di Peter Blake, di Balthus, di Werner Tuebke, di Colville, di numerosi altri pittori che hanno conservato la coscienza della forma aprendo la strada a giovani talenti come Jenny Saville, Dino Vals e Margherita Manzelli. Vi sono poi personalità straordinarie, al di fuori della portata dell’intelligenza dei Politi e dei Lissoni, come Luigi Serafini, Tullio Pericoli o Filippo Martinez.

Per capirlo basta vedere la penosa impaginazione pubblicitaria di Flash art, una rivista che coltiva e diffonde il brutto senza riconoscerlo, un bollettino di fame usurpate senza vita, verità, poesia, se non per caso, emergendo nel mucchio. È arrivato il momento di dire che non sono protagonisti di nulla quelli indicati, per compiacimento del mercato, o del mercatino, da Politi. Essere orgogliosi di non avere mai dedicato una riga a Gnoli, Freud o Ferroni è patetico. La città di Milano si compiace delle rassegne istituzionali, da Kandinsky a Serrano alla Street art, fino all’omaggio trionfale e ammiratissimo a Gino De Dominicis con «Calamita cosmica» in Piazzetta Reale.

Davanti alla totale incapacità di distinguere i valori non può che essere lusinghiero il giudizio di Politi su «la pessima qualità e il ritardo oltraggioso» attribuiti a Milano come «vera vergogna nei confronti dell’Europa e del mondo dell’arte». Strano che uno dei rispettati da Politi, Enzo Cannaviello, pensi esattamente il contrario. Forse sarebbe opportuno che chi crede di poter giudicare cominciasse a studiare.

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