Fra i due forni, Casini resta con il cerino in mano

RISULTATI Il laboratorio con il Pd è fallito, il Pdl lo scarica, l’Idv lo attacca e persino la Chiesa s’infuria

RomaProvano tutti a fare centro. Da destra e da sinistra, alternandosi di continuo, da diversi giorni, seguendo alla perfezione lo schema bipolare da lui tanto odiato. Sarà pure un banale gioco di parole, ma nel mirino bipartisan per ora c’è finito Pier Ferdinando Casini. Che in parte andrà pure fiero, strenuo difensore com’è del dogma «né di qua né di là», del fuoco incrociato che gli viene scaricato addosso. Ma che allo stato dei fatti, quando mancano poco meno di due mesi al responso delle urne, finisce per mettere quasi d’accordo maggioranza e opposizione, beccandosi sberle (politiche, s’intende) da vecchi e nuovi alleati. Senza contare l’affondo non da poco rifilatogli da Avvenire, duro nel contestare «l’esasperazione della polemica con la Lega» che ha portato alle «scelte contraddittorie» dei centristi, tra le cui file «il gioco prevale sulla fisionomia valoriale».
Già. Casini, secondo il quotidiano dei vescovi italiani - da cui dovrebbe attendersi semmai sostegno in vista delle Regionali - con le sue intese a macchia di leopardo punterebbe più sull’utilitarismo che sul segno identitario dell’ispirazione cristiana, pur se ufficialmente esibita. Un assist niente male, colto al volo da Sandro Bondi: «In questo modo l’Udc si rivela una forza politica ininfluente sulle prospettive di cambiamento del nostro Paese». Perché «per essere protagonisti», aggiungeva il coordinatore del Pdl, «occorre avere una politica coerente, fondata sui valori e non sull’opportunismo».
Basterebbe quest’elemento per comprendere come la politica dei due forni rischi di far scottare il «partito dei panettieri». Copyright in questo caso di Antonio Di Pietro, che non ha certo fatto sconti, attaccando anzi da par suo: «Noi facciamo opposizione in modo chiaro e determinato», mentre «l’Udc fa meretricio, si offre al miglior offerente». Dunque, «c’è una bella differenza». Ma non è il rapporto incrinato o no con l’Idv a rappresentare la questione centrale. Il punto di domanda è un altro: che fine ha fatto, viste le tensioni avute pure con i vertici del Pd, quello spirito da Cln (anti Cavaliere) che avrebbe dovuto chiamare a raccolta le forze repubblicane a difesa della democrazia, qualora si fosse andati ad elezioni anticipate? Stando alle reazioni indispettite verso i centristi, che si susseguono anche tra i democratici, i presupposti sembrano già tramontati.
E di certo non c’è spazio per quel laboratorio politico Pd-Udc, tanto temuto nel Pdl, che si sarebbe dovuto sperimentare nella provetta pugliese. Per capirlo, oltre alla scelta solitaria centrista con l’appoggio ad Adriana Poli Bortone, basta riprendere le affermazioni di Massimo D’Alema. «Il fatto che Casini si allei con la destra in alcune regioni», ovvero Lazio, Calabria e quasi certamente Campania, «è una cosa grave». Presa di posizione a cui Casini risponde per le rime: «Cosa ha capito D’Alema? Noi non siamo il salvagente del Pd», anche perché, sia chiaro a tutti, anche a chi fa orecchie da mercante, «il nostro obiettivo è smantellare i due poli».
Semplice, a dirsi. Un azzardo, è probabile. Perché il cerino in mano potrebbe rimanere proprio all’ex presidente della Camera.

Lo vorrebbe Silvio Berlusconi, che non ha mai digerito il movimento ondivago, e che avrebbe preferito tagliare del tutto il cordone. E forse lo auspicano sotto sotto pure dall’altra parte, nonostante l’accordo strappato in Piemonte, Liguria, Basilicata e Marche. Insomma, Casini rischia. Rischia che a fare centro, prima o poi, siano gli altri.

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