I duri di Fatah: «Uccideremo i leader di Hamas»

Gian Micalessin

La «domenica nera», come è già stata battezzata, rischia veramente di venir ricordata come la soglia della linea rossa che tutti da Hamas a Fatah giuravano di non voler superare. Da domenica la guerra civile non è solo nell’aria, ma anche nei cuori e nelle menti dei militanti palestinesi. Lo si capisce da toni e minacce che avvelenano i rapporti tra Fatah e e Hamas. Le più pesanti arrivano dalle Brigate Martiri Al Aqsa. I duri e puri dell’integralismo «fathiano» giurano di esser pronti a far fuori tutti i dirigenti di Hamas incominciando dal ministro degli Interni Said Siyam e dal suo sottoposto Youssef al Zahar. I due sono accusati di aver mandato le milizie di Hamas a sparare contro i poliziotti scesi in piazza per invocare il pagamento degli stipendi. I volantini dei brigatisti promettono però anche l’eliminazione del capo di Hamas in esilio a Damasco, Khaled Meshaal. «Noi di Al Aqsa – tuona il comunicato diffuso a Gaza - annunciamo la decisione di giustiziare Khaled Meshaal, Said Siyam e Youssef al-Zahar, per trasformare quei ripugnanti individui un esempio». La serietà di quei propositi va ovviamente presa con le molle. A Gaza la sigla delle Brigate Martiri di al Aqsa viene usata da una decina di fazioni la cui consistenza non supera a volte la decina d’individui.
Hamas del resto fa ben poco per calmare le acque. Secondo Zahar le minacce arrivano da un gruppetto di golpisti «pronti a liquidare le forze islamiche e patriottiche che neppure Israele è mai riuscito a eliminare». Ad avvelenare i rapporti tra i due gruppi contribuisce poi l’informativa della «sicurezza preventiva palestinese», la milizia schierata col presidente Abu Mazen (Mahmoud Abbas) che accusa Hamas di aver contrabbandato nella Striscia di Gaza 1300 tonnellate di armi per preparare una guerra aperta ad Israele.
L’ altro scossone capace di rendere irreversibile lo scontro fratricida potrebbe arrivare , secondo il ministro degli Esteri Mahmoud Zahar, da Abu Mazen, pronto a sciogliere il governo e indire lezioni anticipate. L’ipotesi è stata ufficialmente confermata da Nabil Amr, l’ex ministro dell’informazione di Fatah cooptato tra i consiglieri di Abbas. Il portavoce conferma che in mancanza di un accordo con Hamas il presidente potrebbe dichiarare lo stato d’emergenza e formare un nuovo governo distribuendo i ministeri tra un gruppo di «tecnici» indipendenti. Nabil Amr non menziona però le elezioni anticipate. La dimenticanza non è casuale. Oltre alle difficoltà organizzative causate dall’ostruzionismo di Hamas, Abu Mazen dovrebbe anche avere la certezza di vincerle. Quella certezza secondo un sondaggio del Jerusalem Media and Communications Center è ben lontana. Fatah non andrebbe molto lontana dai risultati dello scorso gennaio conquistando il 32% dei voti contro il 30,5 di Hamas. Un responso, considerata l’ampia forbice di attendibilità, che non regala la certezza della vittoria. I risultati sulla fiducia dei palestinesi nei confronti dei due leader sono per Fatah ancora più scoraggianti. Mentre il 19% degli interpellati si fida del premier Ismail Hanyeh, solo il 14,5% crede al presidente Abu Mazen. L’aspetto più interessante del sondaggio è il crescente senso di estraneità nei confronti delle due principali formazioni e dei loro leader.
L’unica espressione di consenso capace di superare la fatidica soglia del cinquanta per cento, attestandosi al 56, è quella nei confronti di un governo d’unità nazionale. Il progetto resta però lontano.

Il ministro degli Esteri del Qatar ha presentato un piano per l’integrazione di Hamas nell’Olp, la formazione di un governo d’unità nazionale guidato da un’indipendente, il riconoscimento indiretto d’Israele attraverso l’accettazione di tutti gli accordi sottoscritti dall’Olp e la liberazione del caporale Gilad Shalit prigioniero di Hamas dalla fine di giugno. Fatah e Abu Mazen hanno già detto di sì. Il silenzio di Hamas quasi sicuramente si tradurrà in un «no».

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