I fantasmi di Cefalonia

I fantasmi di Cefalonia

Quello di Cefalonia - dove fu fatta strage della divisione Acqui - è un tema storico e civico che a Giorgio Napolitano sta particolarmente a cuore. Proprio a Cefalonia aveva voluto celebrare, il 25 aprile scorso, l’anniversario della Liberazione: dimostrando così di condividere l’opinione del suo predecessore al Quirinale, Carlo Azeglio Ciampi, secondo il quale l’8 settembre 1943 non fu una giornata di umiliazione e di vergogna per l’Italia, ma l’inizio del riscatto nazionale. È un’opinione che non condivido, anche se ne capisco gli intenti patriottici. I singoli episodi di valore che contrassegnarono lo sfacelo furono a mio avviso pepite d’oro in una montagna di fango.
Adesso, per il sessantaquattresino anniversario della tragedia che costò la vita ai diecimila dell’Acqui, il Presidente della Repubblica ha inviato all’associazione nazionale divisione Acqui un messaggio in cui chiede che sia reso pubblico il materiale acquisito dalla commissione parlamentare d’inchiesta istituita nella scorsa legislatura: così da contribuire a una «memoria storica libera da contrapposizioni e condizionamenti». Sono del tutto d’accordo con Napolitano sull’opportunità che la documentazione raccolta dalla commissione in due anni di attività, e anche con missioni in Germania, Gran Bretagna e Stati Uniti - i costi per il contribuente sono stati senza dubbio elevati - sia interamente resa nota. Non si vede, a distanza di alcuni decenni, quali motivi di riservatezza ne possano legittimare la segretazione, e non si vede nemmeno l’utilità della segretazione. Le carte che arrivano a conoscenza d’un folto gruppo di parlamentari sono poi date rapidissimamente in pasto al colto e all’inclita, se interessanti e se utili alla polemica politica.
Detto questo, devo aggiungere che l’eventuale divulgazione non aiuterà per nulla una ricostruzione dei fatti che sia condivisa e non influenzata dalla passione o dalla fazione di parte. La tragedia di Cefalonia - se ad essa vogliamo limitarci - fu molto più intricata e in qualche suo aspetto conflittuale di quanto una versione virtuosa e rituale abbia voluto far credere (il che non sminuisce, semmai accresce, l’ammirazione per i genuini atti di valore). Il lascito della Commissione parlamentare non aiuterà a raggiungere una ricostruzione bipartisan perché rappresenta esso stesso la testimonianza d’una lacerazione.
I parlamentari s’erano occupati non solo delle circostanze in cui la Acqui fu immolata, ma anche del cosiddetto «armadio della vergogna»: ossia d’una caterva di documenti sui crimini nazifascisti in Italia che per volontà di esponenti dei governi postdegasperiani sarebbero stati occultati e insabbiati. La maggioranza di centrodestra della commissione approvò una relazione che escludeva ogni e qualsiasi complotto del potere politico e della magistratura militare per nascondere agli italiani nomi e fatti riguardanti crimini di guerra. Una relazione della minoranza di centrosinistra era di parere contrario, e ribadiva la necessità che tutto fosse reso noto.
Mi sembra chiaro che al centrosinistra non importava nulla dei fascicoli su even ti lontani, e su uomini che o sono morti o sono alla soglia della morte. Importava di chiamare in servizio fantasmi resistenziali, odi di tutt’altra stagione morale e sociale del Paese, glorie partigiane, nefandezze repubblichine e naziste. L’appello alla verità, da ricercare a ogni costo, sottintendeva la volontà di ribadire la divisione tra fulgidi eroi e reietti, e di deprecare che ai reietti fosse stato dato aiuto e complicità dai governi moderati. Sicuramente - questa è la considerazione implicita - non ci sarebbe stato un armadio della vergogna se al governo, anziché i democristiani ammiratori degli Usa, ci fossero stati i comunisti ammiratori di Stalin, e come tali fautori della trasparenza.
Di questa visione manichea del passato, che ci insegue e che ad ogni 25 aprile viene risfoderata, non se ne può più.

Ripeto la mia adesione alla proposta di divulgare tutto ma proprio tutto (senza aggredire Giampaolo Pansa se divulga qualcosa di politicamente scorretto). Poi, aperti gli armadi, non se ne parli che in sede storica. Per la meschina politique politicienne il tempo è scaduto da un pezzo.

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