I lavoratori della Ip in piazza: «No al trasferimento a Roma»

Quattro ore di sciopero ieri mattina per i 45 dipendenti Ip, la storica azienda petrolifera con sede in piazza della Vittoria passata un anno e mezzo fa dal gruppo Eni nelle mani di Api. Mezza giornata di agitazione indetta improvvisamente, in attesa di altre manifestazioni più articolate, dopo che una riunione sindacale la settimana scorsa ha messo i lavoratori davanti a una durissima realtà. Api, in sostanza, ha stabilito di chiudere per sempre la sede genovese per trasferire tutto il lavoro a Roma. «Al di là del fatto che, al momento della cessione a Api, avevamo ricevuto garanzie sulla sopravvivenza della sede di Genova - spiega la rappresentante dei dipendenti Annamaria Sdraffa - il modo in cui siamo stati messi davanti al fatto compiuto è inaccettabile: se vogliamo mantenere il posto di lavoro, in sintesi, dobbiamo trasferirci a Roma a partire da aprile, senza compromessi. Ma questo, per motivi familiari abbastanza comprensibili, è inaccettabile».
I dipendenti Ip non sono infuriati solo perché ancora storditi da quello che definiscono «vero e proprio pugno in faccia» ricevuto dalla società, terza azienda petrolifera italiana. «Non stiamo cercando di mettere becco nelle strategie aziendali, ma il trattamento riservatoci - denunciano i lavoratori - è cinismo puro». A ottobre il primo, inquietante annuncio; la scorsa settimana l'assemblea il cui responso è stato un «nulla da fare». L'ultima parola - per adesso - di Api è questa: tutti a Roma, altrimenti arrivederci e grazie. Da quel che si dice in piazza della Vittoria, Api non starebbe facendo un granché per non perdere i dipendenti liguri. Nessuna agevolazione, ad esempio un aiuto a trovare alloggio nella capitale, sarebbe stata offerta a chi dovesse accettare il trasferimento: un atteggiamento «che fa pensare a una maniera indiretta di spedirci a casa», sottolineano Sdraffa e colleghi. I quali precisano di cercare soltanto una soluzione dignitosa, non certo di volersi buttare nell'impresa impossibile di convincere Api a non chiudere la sede, «anche se - si amareggia la rappresentante - è triste vedere Genova impoverirsi così: il trasferimento dell'azienda, che negli anni d'oro contava duemila dipendenti, è l'ennesima possibilità di lavoro che i nostri giovani perdono. E per questo stiamo cercando di sensibilizzare le istituzioni cittadine sul caso Ip».
Si starebbe dunque avvicinando una malinconica fine per una realtà che rappresentava un fiore all'occhiello per l'economia della città: quando passò dalla proprietà Shell a Eni, nel 1973, Ip dava lavoro a migliaia di persone. I ranghi furono ridotti progressivamente, ma ci fu ancora il tempo di vedere il marchio genovese vivere un'era prestigiosa con l'operazione di marketing che lo abbinò per diversi anni alla Nazionale di calcio. Dalla metà degli anni Novanta il declino, fino all'ultimo passaggio di consegne che, è praticamente certo, strapperà il logo arancio e blu alla propria città.

Ora l'importante, per l'ormai ridotto equipaggio di quello che una volta era un transatlantico dell'industria italiana, è avere la certezza di portare a casa uno stipendio anche in futuro: «Ci stiamo proponendo per qualunque mansione in qualunque ambito - spiega ancora Sdraffa - pur di rimanere qui, vicino casa. L'alternativa? Si potrebbe anche andare a Roma. La conseguenza, però, sarebbe la distruzione delle nostre famiglie».

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