I MEDIA ULTIMI TESTIMONI DELLA SHOAH

Fra poco non ci sarà più alcun testimone vivente della shoah, le leggi dell'anagrafe relegheranno questa tragedia alla tradizione del racconto indiretto, mediato, o alla memoria che di esso avranno saputo dare tutti i documenti scritti e filmati raccolti dalla fine della guerra a oggi. Anche per questo motivo domani, «giorno della memoria», sta assumendo negli ultimi anni un significato particolare che accompagna questa fase di passaggio dagli ultimi scampoli delle testimonianze personali a un'era in cui ci dovremo affidare ai resoconti documentali. In tale ottica il cinema si pone, ora più che mai, come grande serbatoio di memoria e di presa di coscienza, e capire in che modo i film abbiano potuto o possano proporsi come punto di riferimento storico ed emotivo dell'olocausto diventa un interessante momento di riflessione. La puntata di mercoledì de La grande storia (Raitre ore 8,15 e 0,45) ci ha condotto proprio a questo tipo di approccio, attraverso un documentario dal titolo di per sé esemplificativo: «Hollywood e l'olocausto». Anche il cinema ci ha messo un po' per sdoganare il tema dei campi di sterminio nazista, prima di porlo al centro dell'attenzione mondiale. La domanda epocale «si può raccontare un orrore del genere?» vale a maggior ragione per uno strumento che usa la forza dirompente delle immagini e che, come afferma il produttore cinematografico Bronko Lustig, «Deve sempre porsi il problema di quale limite raggiungere, e di quanta fedeltà realistica esprimere, per evitare che il pubblico volti le spalle allo schermo». Lo storico Michael Berenbaum, un altro degli intervistati, ha aggiunto un ulteriore tassello interpretativo alla delicata questione del rapporto tra cinema e certi orrori della storia: «Man mano che ci si avvicina alla verità sulla shoah ci si accorge di toccare il male assoluto». Comprensibili le polemiche che si scatenano ogni qual volta un regista si occupa di questi temi, magari in chiave favolistica come Roberto Benigni ne La vita è bella e lo stesso Steven Spielberg che con il suo Schindler's List contribuì in modo decisivo ad avvicinare il grande cinema alla tragedia ebraica, non senza dividere la critica.

Se infatti è vero che Hollywood nei suoi prodotti deve sempre cercare quella «medietà» capace di accontentare il maggior numero possibile di spettatori, lo stesso film di Spielberg - con il suo lieto fine e l'attenzione posta più sul migliaio di scampati al massacro che alla pletora di vittime - prestò il fianco all'accusa di non avere reso il giusto servizio alla memoria. In ogni caso, osservare in che modo anche il cinema si faccia testimone dell'olocausto diventa via via più importante.

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