«Dopo i militari americani in Irak racconto il nuovo James Bond»

Parla il regista-sceneggiatore a suo agio nel cinema d’autore e in quello commerciale: «Non divido il mondo in buoni e cattivi, m’immedesimo anche nelle ragioni dei peggiori»

da Alba

Canadese per cittadinanza, statunitense per domicilio, italiano per residenza, Paul Haggis ha portato all’«Alba e Bra in Festival» la più felice sintesi fra un cinema d’autore che chiunque può capire e un cinema da pubblico che chiunque può vedere. Ultimata a Roma, dove ora ha casa, la seconda versione della sceneggiatura del nuovo film di 007, tratto dal racconto di Ian Fleming Quantum, Haggis è intervenuto con scioltezza, senza divismi, senza stranezze autoriali, a una delle più interessanti rassegne italiane. Ha presentato un classico: Crash, da lui scritto e diretto, tre Oscar, incluso quello per il miglior film e per la sceneggiatura originale dello stesso Haggis. Del resto la carriera di Haggis è densa di «nomine», fra Sideways, Flags of our Fathers e Letters of Iwo Jima; per non dire della pioggia di Oscar su Million Dollar Baby. Tutti film scritti da lui.
Signor Haggis, come concilia il suo stile sfumato col Bond cinematografico?
«È stata anche la mia perplessità quando mi chiamò la produzione di Casino Royale, offrendomi di rivedere la prima sceneggiatura. Risposi: ma avete visto Crash?».
L’avevano visto?
«Sì, ma gli andavo bene lo stesso!».
E anche lei s’è adattato a Bond, se ora ci riprova.
«Ho consegnato la sceneggiatura ispirata da Quantum poco prima dell’inizio dello sciopero degli sceneggiatori».
Per questo film non scrive solo lei.
«Il sistema è questo. Purvis scrive una prima versione, io una seconda e Wade la terza».
Quindi lei non sa esattamente che cosa si girerà.
«Lo vedrò al cinema, come lei, solo una ventina di giorni prima».
Quando vuole essere sicuro del risultato, oltre a scrivere il film, lo dirige, come Crash - Contatto fisico.
«Sto lavorando a Ranger’s Apprentice («L'apprendistato da ranger»), tratto dal libro di John Flanagan che ho scoperto leggendolo a mio figlio. È la storia fantasy di una spia medievale».
Altro in vista?
«Ho scritto una sceneggiatura innovativa di Terminator 4 di Nicholas McGee».
Nella valle di Elah, sempre da lei scritto e diretto, non è andato bene negli Stati Uniti, nonostante la nomination per Tommy Lee Jones.
«A chi piace vedere le proprie ferite aperte? Per ora il pubblico americano accetta i film allegorici sulla sua situazione attuale meglio di quelli che gliela mostrano realisticamente».
Canadese di nascita, quindi inglese d’America per cultura, lei evita i personaggi buoni-buoni come quelli cattivi-cattivi prevalenti a Hollywood.
«Hollywood e le tv in genere offrono personaggi rassicuranti, subito classificabili. Io propongo personaggi buoni o cattivi a seconda delle circostanze».
Come il poliziotto di Matt Dillon in Crash. Eppure lei viene dalla tv e lavora a Hollywood!
«Ho cominciato a vent’anni, scrivendo sceneggiature per la serie di animazione Scooby-doo. Al cinema sono passato quando le tv hanno fatto a meno di me».
Motivo?
«Scavavo troppo nei personaggi».
Le facevano un favore.
«Quello l’ho saputo dopo. Comunque mi ci avevano preparato, dicendomi sei troppo bravo per la tv, lavora per il cinema!».
E lei non voleva?
«Come no? Ma Hollywood era un giro che restava ancora chiuso per me».
Gravi errori. Per uno sceneggiatore l’errore più grave qual è?
«Giudicare i suoi personaggi. Ho imparato a mettermi dalla loro parte, anche dei peggiori».
Una persona che non dimenticherà mai?
«Clint Eastwood. Aveva letto la mia sceneggiatura di Million Dollar Baby. Mi telefonò per dirmi che l’avrebbe diretto e interpretato. Pensai a uno scherzo».


Non lo era.
«E quando è uscito Crash, Eastwood è venuto alla prima e anche alla festa successiva. Tre ore di noia per lui, tre ore di affetto per me».
Eastwood in due definizioni.
«Un maestro di regia. E un grand’uomo».

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