Al Gore ha dichiarato che chi nega la responsabilità umana del riscaldamento globale è pagato dagli inquinatori. Lo stile delle dichiarazioni ricorda quelle del mafioso pluriomicida Spatuzza, che parla tanto per emettere aria - alquanto fetida, in verità - ma con tanti allocchi intorno disposti a respirarla a pieni polmoni. Mentre Al Gore non può offrire dimostrazione alcuna della malafede che, a suo dire, animerebbe quelli che egli chiama negazionisti, noi possiamo offrire ampi indizi della sua malafede. La stessa parola - negazionisti - è deliberatamente usata per evocare un automatico accostamento ai negazionisti dell’Olocausto nazista; il che, se spinto fino alle logiche conseguenze, vorrebbe suggerire la messa sotto processo dei dissidenti in tema di clima per crimini contro l’umanità. Privo di argomenti, insomma, Al Gore ci liquida accusandoci di essere criminali e pagati.
Dico «ci» perché io sarei un negazionista: sono membro dell’N-Ipcc, una istituzione internazionale che ha fornito ampie e documentate prove della totale assenza di responsabilità umana sul clima del pianeta. Ma sto ancora cercando nel mio conto in banca, non avendoli ancora trovati, i proventi di quei pagamenti.
Al contrario, invece, in questi giorni è emersa la colossale frode che proprio ad Al Gore ha fruttato il Nobel per la pace. Dovremmo però dire ri-emersa, visto che è da almeno 10 anni che è noto l’imbroglio. Il suo premio Al Gore lo ha diviso con l’Ipcc, il noto comitato dell’Onu investito del problema climatico. Orbene, l’Ipcc era gravato dal pregiudizio già sul nascere, visto che il suo statuto recitava che compito del comitato era «stabilire, in modo completo, oggettivo, aperto e trasparente, le informazioni scientifiche, tecniche e socio-economiche rilevanti per comprendere le basi scientifiche dei rischi dei cambiamenti climatici indotti dalle attività umane». Insomma, l’Ipcc aveva già deciso che le attività umane influenzano il clima prima ancora di cominciare a operare. Nel suo Primo Rapporto (1990), lacunoso nell’ignorare gli effetti del vapore acqueo, delle nuvole e del sole sul clima della Terra, e ignorando gli scienziati che sottolineavano la lacuna, l’Ipcc «prediceva» ciò che i politici dell’Onu volevano predicesse: il disastro planetario come conseguenza dell’immissione in atmosfera della CO2. Il Secondo Rapporto (1996) si macchiò addirittura dell’infamia di gravi alterazioni nella stesura del Riassunto che fu poi dato in pasto all’opinione pubblica, tant’è che diversi scienziati dello stesso Ipcc protestarono (memorabile è la lettera di denuncia, pubblicata sul Wall Street Journal, di Frederick Seitz, presidente della Società di fisica e dell’Accademia nazionale delle scienze americane). Il Terzo Rapporto dell’Ipcc è invece memorabile per aver fatto proprio e diffuso il famoso grafico «a mazza da hockey» delle temperature medie globali, prodotto della «ricerca» di un inesperto studente, tale Michael Mann (poi subito gratificato con incarichi spropositati al proprio curriculum), il quale aveva cancellato con un tratto di penna sia il periodo caldo medioevale che la successiva piccola era glaciale, facendo apparire le temperature attuali le più elevate del millennio (sappiamo invece che per un paio di secoli attorno all’anno Mille il pianeta fu più caldo di adesso). Quel grafico indusse l’approvazione operativa del Protocollo di Kyoto, ma fu subito dopo dimostrato essere un falso scientifico, tant’è che il Quarto Rapporto dell’Ipcc (2007) neanche lo cita più.
Il terrore diffuso dai Rapporti dell’Ipcc ha attirato l’attenzione dei media, che ha incrementato il flusso di risorse, che a sua volta ha vieppiù foraggiato la propaganda politica, in un vortice senza fine. Si sono creati nuovi «posti di lavoro», occupati da una pletora di persone prive di alcuna competenza scientifica, ma che traggono così di che vivere.
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