I nostalgici del principe di Salina

Globalizzazione e fondamentalismo islamista rendono l'unità europea ancora più indispensabile per l'Italia. Ma di questa unità non si dovrebbero occupare esclusivamente i soliti «europeisti». Schemi astratti e petizioni di principio non risolvono problemi pieni di carne e sangue come quelli dell'integrazione continentale. Né si può contare unicamente sugli utilissimi poteri dell'eurocommissione. Il protezionismo di Parigi richiede scelte complesse. Serve una buona politica, certamente europeista non protezionista. Ma politica. Va di moda, oggi, denigrare la politica industriale del centrodestra (alla Benin, osserva l'«imparziale» Corriere della Sera). Eppure è il centrosinistra ad avere conciato, grazie innanzi tutto alla munificenza di Romano Prodi, la Fiat a un'impresa da buttare, determinando la principale causa della nostra crisi industriale, mentre il centrodestra ha stimolato e aiutato il Lingotto a tornare a competere; alla Telecom Italia al posto dei capitani coraggiosi così simpatici a Massimo D'Alema, è arrivato un imprenditore come Marco Tronchetti Provera; nella Edison graziosamente regalata alla francese Edf, è entrata al cinquanta per cento una società come la milanese Aem. Grazie al governo Berlusconi quel gioiellino della Finmeccanica non è finito ai francesi com'era nei piani del centrosinistra. Problemi ce ne sono, ma a questioni fondamentali si è rimediato dopo le ubriacature dei governi Prodi e D'Alema.
Il settore bancario, per esempio, è in difficoltà: è il campo dove più hanno influito in questa legislatura sinistra e amici del piccolo establishment. Prima favorendo le dimissioni dall'Economia di Giulio Tremonti, poi risolvendo la questione Fazio con linciaggi mediatici invece che con la politica. Però, nonostante errori, gaffe, rozzezze, inadeguatezze l'esecutivo di centrodestra ha mantenuto la barra sulla linea giusta: stare in Europa ma non in ginocchio, favorire il mercato cercando di costruire le condizioni per farlo funzionare (lavoro, pensioni, scuola), avere consapevolezza di un'unità «occidentale» come necessaria integrazione ai più vasti processi di relazioni internazionali. Mentre nel centrosinistra è, innanzi tutto, sbagliata la direzione di marcia. Le ridicole sparate fuori tempo massimo di Prodi (che minaccia persino di bloccare Bnp in Bnl) non modificano la realtà delle scelte fatte. Né il senso dei commenti ulivisti di questi giorni sui francesi che fanno bene a punire la politica estera sbagliata degli italiani. Atteggiamenti da colonizzati. Talvolta, persino, giustificati teoricamente. Nelle interviste a Guido Rossi a cura di Federico Rampini, uscite in Capitalismo opaco, Laterza, si dice sostanzialmente che la società italiana fa schifo, ed è necessario dunque arrendersi a Bruxelles (Parigi, Berlino, Bilbao).
È importante - soprattutto per gli elettori - ragionare sulle radici materiali di atteggiamenti di questo tipo: settori tecnocratici, piccoli establishment (si pensi a un Luigi Abete che per la presidenza di Bnl si allea con chiunque purché non italiano), sindacati corporativi (quelli che antepongono interessi particolari ai più generali dello sviluppo). Un vasto blocco sociale con un'ideologia da principe di Salina, il Gattopardo del «tutto cambi perché nulla cambi».

L'Unione Europea per costoro non deve vedere protagonista l'Italia che lavora e compete (dagli operai agli imprenditori) ma le élite che preferiscono conservarsi una nicchia a difesa del proprio potere piuttosto di battersi per affermare il peso del Paese nei processi d'integrazione.

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