"I nostri vecchi brani per dare una scossa alla nuova musica"

I due grandi autori pubblicano il disco "Capolavori nascosti": "Conta la qualità"

"I nostri vecchi brani per dare una scossa alla nuova musica"

Mario Lavezzi, quando ha conosciuto Mogol?

«Nel 1968 quando gli presentai il brano Il primo giorno di primavera per i Dik Dik».

Mogol, lei come rispose?

«Gli cambiai il testo che faceva riferimento a giovedì 19. Io avevo appena scritto 29 settembre e non volevo trasformare il mio canzoniere in un calendario».

E da allora?

Mogol e Lavezzi: «Ormai dicono che siamo una rinomata ditta».

In 55 anni hanno scritto, talvolta insieme, un bel pezzo della playlist d'autore italiana con brani che sono passati alla storia. Stavolta hanno deciso di pubblicare, anzi ripubblicare, i cosiddetti Capolavori nascosti, ossia canzoni già conosciute ma passate sottotraccia. «I successi nascono dalla promozione» dice Mogol riferendosi ad esempio a Bianche raffiche di vita (cantata anche da Mango e Luca Carboni) oppure a Giorni leggeri (cantata da Dalla e Cocciante) che non hanno avuto l'attenzione che, secondo loro, si sarebbero meritata. E così eccoli tutti insieme, questi tredici brani più l'inedito Una storia infinita, in quello che praticamente è un disco di inediti perché, come ironizza Mogol, «non li ricorda quasi nessuno». Però è bello vedere il principe degli autori (86 anni) e un signore della musica (quasi 75 anni) parlare, discutere, confrontarsi per un intero disco nell'epoca delle singole canzoni usa e getta.

A proposito, com'è la musica di oggi?

Mogol «Non la seguo molto. Di certo non conta solo chi scrive i brani ma anche chi decide di pubblicarli».

Lavezzi «Un po' la seguo e ci sono artisti come Madame o Mengoni che mi piacciono molto. Quando ho sentito L'essenziale di Mengoni ho pensato: Accidenti ma perché non l'ho scritta io?».

Come mai avete deciso di ritrovarvi?

Lavezzi «È stato durante il lockdown. Ho chiamato Giulio (Mogol - ndr) per dirgli che sarei andato a trovarlo al Cet. E lui: No no, non venire. Aveva paura del Covid. In realtà sono andato lo stesso e gli ho fatto ascoltare proprio Una storia infinita, poi cantata con la brava Cristina Di Pietro, e da lì è nato tutto».

Mogol «Quel brano parla di un amore dopo la morte. Non ce l'hanno fatta presentare a Sanremo ma ne sono molto orgoglioso».

Se dopo la vita incontrasse di nuovo Lucio Battisti?

Mogol «Gli direi: Finalmente. E chissà se ci sarà una chitarra, quello è il vero problema».

Se ne parlerà tra cento anni.

«Ho 86 anni, è una cosa che può succedere presto».

Quanto è cambiata la musica da quando Mogol e Battisti dominavano la scena?

Lavezzi «Diciamo che ormai tutto ruota intorno a tre categorie: i follower, le visualizzazioni e lo streaming. Un mondo completamente diverso all'età dell'oro che abbiamo vissuto negli anni Sessanta, Settanta e Ottanta».

Mogol «La cultura popolare è fatta anche di gente che canta le canzoni a memoria. Ora mi sembra capiti raramente».

Avete scritto anche molti altri brani inediti.

Lavezzi «Abbiamo deciso di aspettare il momento giusto per pubblicarli. Oggi vanno i singoli, quasi tutta l'attenzione è su di loro e molto sugli album. Per non parlare del cd, che non c'è più manco sulle auto. Ci sarà un altro momento. Dopo tutto, anche la canzone Vita, poi cantata da Dalla e Morandi, è stata per sei anni in un cassetto prima di essere pubblicata. A proposito, ho proposto Una storia infinita a Gianni Morandi ma lui mi ha detto di avere già il progetto con Jovanotti».

Mogol «Io ho proposto il nostro brano Rabbia ad Adriano Celentano, ma lui manco mi ha risposto. Allora gli ho mandato un messaggio scherzoso: Rispondimi, guarda che il Covid non si trasmette via sms».

Mogol e Lavezzi vanno d'accordo?

Mogol «Su tutto».

Facebook e Instagram hanno bloccato la musica italiana.

Mogol «Meta guadagna miliardi, gli autori dei brani sopravvivono spesso a stento. È una battaglia sacrosanta».

Lavezzi «Anche Google aveva fatto più o meno lo stesso».

Come si fa a rivoluzione di nuovo la musica italiana?

Lavezzi «Rifare di nuovo il Festival della canzone italiana scegliendo i brani con una

commissione e poi assegnandoli agli interpreti come si faceva decenni fa. Ho provato a farlo con Amici di Maria De Filippi e in poco tempo sono arrivate 4500 canzoni inedite. Questo sarebbe un bel modo per rinnovare la scena».

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