I partiti sanno solo fare danni Non servono più

Questi finti apparati sono diventati i servi del governo composto dai tecnici Il Pdl si è mangiato la leadership. Il Pd è terreno di scorrerie. L’Udc farnetica

I partiti sanno  solo fare danni Non servono più

A che serve il Pdl? A niente. An­zi, fa danno. Il partito si è man­giato la leader­ship , ha condotto alla perdita della maggioranza alle Camere, è stato il luogo di risse indi­scernibili, di rinvii e intralci al­l’azione del governo. A che serve il Pd? Niente di niente, un si­mulacro di culture in fusione per­manente e in atroce divisione sem­piterna. È stato utile soltanto alla battaglia dei capi, è terreno per scorrerie, zona di allarmante in­conciliabilità delle diverse e inva­denti consorterie.

A che serve l’Udc o gli altri frammenti?Ora vo­gliono con gran pompa metter su un«partito della nazione», lancia­re un’opa sul centrodestra, chissà con che mezzi di sfondamento, che intrugli e brodaglie parapoliti­che. Fanno danno i partiti d’appa­rato, il resto di ciò che fu e che eb­be un senso in anni ormai lontani. Apparati che alimentano signorie locali dette anche «rapporto con il territorio». Partiti che non hanno uno statuto ideologico, perché le ideologie sono spettri.

Che si nu­trono di finanziamenti ipertrofici e fuori controllo, anche biada per i cavalli morti, e dissipano credibili­tà a milioni di euro. E coltivano la guerricciola tra gruppi,l’accapar­ramento delle tessere, la formazio­ne di maggioranze implausibili, strutturate sul nulla delle relazio­ni personali. Sono anime morte. Sveglia. La riforma della politi­ca possibile è la fine dei partiti co­me modello del Principe machia­velliano, come gabbie di matti in­tenti a succhiare il sangue di rapa a istituzioni che si afflosciano per­ché nessuno crede che servano: Parlamento,governo,sindaco,go­vernatore, e poi fondazioni, asso­ciazioni, lobby, questi luoghi del­la politi­ca effettiva sono ormai de­putati a servire da invasi per le am­bizioni sbagliate di partiti sbaglia­ti.

A forza di partiti finti siamo arri­vati ai partiti serventi del governo composto dai tecnici, alle maggio­ranze tripartite che ubbidiscono a chi dispone del potere vero e sono costrette a funzionare sul presup­posto che il comando politico e il voto degli elettori non abbiano più alcuna relazione l’uno con l’al­tro. Il commissario, il coordinato­re, il segretario, tutte intercapedi­ni di una casa crollante. Le due ipotesi di riforma dei par­titi sono fallite. Berlusconi doveva strutturare un cartello elettorale e un partito leggerissimo, uno staff, e Veltroni aveva promesso una vo­cazione maggioritaria del Pd per il governo del paese o per l’opposi­zione costituzionale.

Erano due idee promettenti, una presa d’atto del nuovo caratte­re dei rapporti politici, una collo­cazione agile tra le famiglie euro­pee dei popolari, dei socialisti, dei liberali, ma in nome di un solo me­­stiere: amministrare, governare, vivere nelle istituzioni con la clas­se dirigente eletta, e fare politica senza sopportare il basto del poli­ticismo, delle stramorte identità universali o di principio, i partiti della falce e martello o dello scu­do crociato o del sole nascente. Fallirono anche i tentativi di torna­re a una nuova mappa partitica, dai governi D’Alema alla Bicame­rale. Ora la finzione diventa una in­sopportabile pantomima.

C’è un severo e rigoroso bisogno di cam­biamento. Quando sento parlare di con­gressi, di tessere, di imbrogli radi­cati sul territorio, metto mano alla pistola.Non ce n’è alcun bisogno. C’è bisogno di raccogliere fondi, altro che rimborsi, e di raccogliere consenso (nei paesi politicamen­te e costituzionalmente evoluti il fund raising e il consenso sono la stessa cosa). C’è bisogno di pro­grammi a breve e medio termine nella contesa per un governo elet­to, a partire dal 2013, non di carte dei valori a cui nessuno piega la benché minima attenzione, non di trombonate e retoricume. La cattiva reputazione dei partiti na­sce da molti equivoci, d’accordo. Da una campagna di delegittima­zione che dura da vent’anni. Male argomentata, per di più, vagamen­te e genericamente moralistica. Ma è la sopravvivenza di partiti morti che rende vivace la protesta e legittima l’insopportazione per la politica come oggi appare, che porta al fenomeno delle primarie sempre e regolarmente vinte da­gli outsider , basta che siano candi­dati antipartito. Le lotte dinastiche, i figli e altre discendenze messe di mezzo, una sensazione di truffa che ha del grottesco promana dal concet­to s­tesso di partito politico d’appa­rato.

Viva i partiti, se i partiti sono cose che costano poco, invadono poco lo spazio pubblico, e agisco­no come collettori di altre forze vi­ve, in un arcipelago detto società, a favore di una leadership e diun programma, di idee modeste ma credibili su come si fa a guidare lo Stato, a renderlo compatibile con la cittadinanza nelle sue forme moderne. Chi fa tessere e congres­si è destinato a perdere ancora e ancora e ancora.

Il metro di misu­ra della politica è una buona rac­colta dati, una forte comunicazio­ne, un programma e l’azione di chi è eletto per governare o per fa­re opposizione. Il resto è fuffa, so­pravvivenza, morto che afferra il vivo.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica