I pronto soccorso presi d’assalto: le finte urgenze intasano le corsie

I pronto soccorso presi d’assalto: le finte urgenze intasano le corsie

L’impressione che si ha facendo un giro nei principali pronto soccorso milanesi è che siano efficienti, ma anche che vengano presi d’assalto da molta, troppa gente. Senza sminuire i malanni e i malesseri di nessuno, la maggior parte delle persone che arrivano al pronto soccorso (soprattutto coloro che ci vanno sulle loro gambe) crede che il proprio problema sia prioritario, urgentissimo, addirittura disperato.
Così, magari solo per qualche linea di febbre, si porta dietro la valigia - pronto per il ricovero -, si presenta in accettazione e, quando viene catalogato con il tanto agognato codice verde (che, insieme al giallo e al rosso dà diritto a una prestazione sanitaria gratuita) si siede e aspetta, magari con parenti al seguito, il proprio turno. Non importa se deve attendere ore e ore: prima o poi potrà tornarsene a casa pacificato con se stesso e il mondo, con una sfilza di accertamenti e la certezza di non avere nulla di grave. Vi pare poco? E, tra l’altro, spendendo nulla o poco rispetto alle tariffe di un qualunque laboratorio di analisi.
Ospedale Policlinico - Sono le 10.30 e Ivana B., classe 1959, impiegata del tribunale, se ne sta drammaticamente seduta con la testa reclinata contro il muro dell’astanteria: una vena che le pulsa forte sul collo l’ha spinta a lasciare in tutta fretta il lavoro e a correre lì. È un codice verde, ma si rassegna ad aspettare. Come Piera Angela O.,71 anni portati alla grande, cappellino di lana calcato in testa e un marito che si «ostina» ad attenderla in sala d’aspetto. Piera ha un dolore lancinante al ginocchio. «È caduta signora?», «No, mi fa solo male, ma avevo paura che fosse qualcosa di grave. E poi, se riesco, quando sono sotto, faccio vedere al medico il foruncolo dell’Eugenio (il marito, ndr). Sa: ce l’ha, ehm, sul sedere..».
Quando l’infermiera grida: «Tutti i parenti oltre la porta di vetro!!» il pronto soccorso si svuota e la sala d’aspetto esplode. «Qui sono tutti professionisti e l’accoglienza è ottima, ma la medicina è sempre più difensiva - si lamenta Daniela Preziati, medico di famiglia in attesa che il padre venga dimesso dal pronto soccorso dov’è arrivato la sera prima per una crisi respiratoria -. Ci sono molte denunce dei pazienti e, per responsabilizzare la gente che viene qui perché ha tutto, subito e gratis, hanno provato a “toccare“ il portafoglio con i 25 euro del codice bianco, ma non vedo molti risultati».
Ospedale Fatebenefratelli - La signora Maria Gemma D.C. ha i suoi anni, ma li porta decisamente bene. Sono le 14.50, fuori il sole splende e, nella sala d’attesa del pronto soccorso aspetta notizie della sorella caduta qualche ora prima in piazza Duomo. La cosa singolare è che, oltre a lei, ci sono solo altre due persone. Cos’è successo? «Beh, a quest’ora la gente o è qui dal mattino o al pronto soccorso non ci viene. Oggi poi è una bella giornata: le persone hanno più paura quando fa buio o il tempo è brutto» ci spiega con il fare di chi la sa lunga. La signora, infatti, ha fatto la volontaria per anni e conosce discretamente la «fauna» ospedaliera. «Questo è un ottimo ospedale anche se le attese al pronto soccorso sono interminabili. Non capisco perché non creino una sorta di guardia medica all’interno per aiutare coloro che vengono qui solo per essere rassicurati dalle loro paure o che, comunque, non hanno quasi niente: sono la maggior parte! E non ha senso che intasino i pronto soccorso».
Ospedale Niguarda - Sono le 18. La signora Ornella P. è imbufalita. Si trova nella sala d’attesa del pronto soccorso dalle 7.20: l’anziana madre, malata di demenza senile, è arrivata a quell’ora al pronto soccorso per un forte problema di disidratazione. «Ottimo ospedale, per carità, ma nonostante ci siano le volontarie ospedaliere, nessuno fa da tramite tra i malati nell’astanteria e i parenti che li aspettano fuori. Le sembra normale che abbia potuto sapere qualcosa di mia madre solo più di tre ore dopo il suo arrivo qui e solo perché l’ho chiesto? E poi, da allora, più nulla. E la colpa è anche degli stranieri. Che vengono qui per farsi curare e fanno perdere tempo perché non sanno spiegare in italiano quello che hanno».
Ospedale San Paolo - Ore 9.30. Abdel Hamid B., egiziano, 43 anni, operaio in un’impresa di pulizie, è qui dalle 17 del giorno prima.

«Mio cugino Mohamed è arrivato qui ieri in codice rosso: è invalido per seri problemi di fegato, aveva la pancia piena d’acqua e qui gli hanno salvato la vita. Ora sta meglio, ma lo stanno per ricoverare...Quando? Esattamente non lo so. È da ieri che gli cercano un posto!».

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