Gli "ininfluencer"

Taylor Swift, George Clooney e LeBron James: cantanti, attori, e sportivi si sono spesi in prima persona per Kamala. Ma non hanno spostato voti

Gli "ininfluencer"
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Dunque tanti endorsement per nulla. Tra i tanti perdenti di questa campagna presidenziale ci sono i divi, spesso super divi, altre volte mini divi, comunque a decine, persino centinaia, che si sono spesi per Kamala Harris in ogni modo, con video, post, apparizioni, risatine, interviste. Da Lady Gaga a LeBron James. Da Bruce Springsteen a Eminem e George Clooney. Solo a metterli in fila ci sono valanghe di Oscar e di Grammy, milioni di copie vendute, tour mondiali e primi posti al box office. Tutto lecito per carità, sia mai che uno non possa esprimere la propria preferenza politica.

Ma se si dà uno sguardo alle squadre degli endorsement, da una parte una valanga di celebrità strainfluenti e dall'altra, cioè quella per Trump, «soltanto» Kanye West, Kid Rock, Billie Ray Cyrus, padre di Miley, Jim Caviezel e pochi altri, è chiaro che il peso specifico elettorale del vippame è molto relativo. Tanto per capirci, si pensava che l'uscita pubblica di Taylor Swift «gattara senza figli» a favore di Kamala Harris avrebbe implacabilmente spostato l'equilibrio a favore dei Dem. Invece zero.

Anzi, per alcuni analisti e sondaggisti, lo spiegamento di stelle ha aumentato la distanza tra gli elettori e la candidata, quasi che lei fosse la «prescelta» della casta e non l'eletta del popolo. Un gioco perverso nonostante nel pallottoliere della candidata Harris siano entrati pure Leonardo Di Caprio, Meryl Strep, Spike Lee e Beyoncé. Dopotutto l'uscita «quando penso ai miei figli e a come cresceranno, la scelta mi è chiara, vota Kamala Harris» fissata sui social dalla star dell'Nba da LeBron James ha un tono apocalittico che mal si sposa non solo con la realtà dei suoi figli (che cresceranno nel lusso e nei diritti) ma pure con la realtà in generale. Nel corso della presidenza Biden c'è stata una pandemia, sono scoppiate almeno due guerre delicatissime e ci sono stati cataclismi epocali dovuti a un cambiamento climatico che gli Stati Uniti non sono proprio in prima fila a fronteggiare. Insomma, tanto per ironizzare, con Trump mal che vada si potrà solo confermare la tendenza.

Per farla breve, le parole delle popstar non hanno spostato voti e non è la prima volta. Come si dice sempre più spesso (fortunatamente) è uno sbaglio sottovalutare gli elettori, specialmente quando sono in un contesto fortemente democratico, e considerarli una massa di pecoroni sensibili alla prima sollecitazione di qualcuno con milioni di follower. E non conta che siano popstar o campioni super vincenti come la stella del football americano Tom Brady oppure come il cestista fuoriclasse dei Golden State Warriors, Steph Curry. Accadde già con la prima presidenza Trump e, prima ancora, con il doppio Bush eccetera eccetera.

Ma a questo giro, il segnale è (ancora) più nero, quantomeno per le celebrità che sorridono per l'euforia ricevuta sui social ma sono obbligate a fare i conti con la mancata monetizzazione elettorale o politica. Per capirci, non fanno la differenza. E, al netto di ogni valutazione di merito sull'esito elettorale, mai come questa volta tanto rumore per nulla. Ha fatto persino poco chiasso l'appoggio a Kamala di Arnold Schwarzenegger, uno dei grandi nomi del pantheon repubblicano nonché ex governatore della California sul punto di candidarsi alla Casa Bianca.

Se si volesse buttare tutto in caciara, basterebbe dire che la canottiera rossa dell'ex wrestler settantenne Hulk Hogan, storico supporter di Trump, «pesa» di più di tutta

Hollywood. In realtà non è così. È successo che (anche) l'estenuante presenza social ha tolto ai divi, a tutti i divi, l'ultima patina di autorevolezza che avevano e da influncer sono diventati tristemente ininfluencer qualsiasi.

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