I regali torinesi del Prof

Tanti i problemi che il governo sta creando alla Confindustria di Luca Cordero di Montezemolo. A iniziare dalla sciagurata impostazione che, alla fine, prevale nello spiegare le scelte dell'esecutivo: «Anche i ricchi piangano». Mentre in tutto il mondo, dalla Cina al Vietnam, persino nella castrista Cuba ci s'impegna perché: «Anche i ricchi investano». Qui in Italia si studiano meccanismi fiscali per colpire chi può farlo: già trentamila miliardi sarebbero volati all'estero. E, per di più, si dà un segno arcaicamente di classe all'impostazione del bilancio dello Stato.
Quelli che in viale Astronomia hanno insistito sulle capacità di modernizzazione di questo centrosinistra - si consideri uno dei punti di riferimento più importanti, Paolo Mieli, che garantiva nell'indicare la scelta di voto per Romano Prodi, sulla visione nuova e aperta di Fausto Bertinotti - si trovano in enormi difficoltà.
Sul fronte delle scelte positive, c’è pochino: il taglio al cuneo fiscale (la differenza tra salario reale e quello gravato da tasse e contributi) viene spalmato in diversi anni. Mentre subito arriva la stangata del trasferire il 65 per cento della liquidazione, o tfr (quando questo non sia indirizzato dal lavoratore verso un fondo complementare) dalle casse delle imprese italiane a quelle dell'Inps. Un ulteriore elemento di pubblicizzazione dell'economia sulla linea dello «smentito» Angelo Rovati, come ieri ha scritto Nicola Porro.
Numerose fonti hanno raccontato le critiche ricevute da Montezemolo negli organismi confindustriali, quando ha riferito sulle linee della manovra governativa. Le difficoltà cresceranno man mano che la base potrà valutare i particolari della Finanziaria. Tra gli elementi che creeranno qualche problema in più a Montezemolo non vi sono solo le scelte punitive fatte verso chi investe in Italia e l'atteggiamento aggressivo verso chi «si arricchisce». C'è anche un «piccolo» provvedimento favorevole a un’impresa italiana, pur grande e fondamentale, assunto con una pericolosa logica ad hoc, peraltro tradizionale in Prodi, l'uomo del regalo alla Fiat dell’Alfa Romeo, del tentato regalo della Telecom e delle munifiche rottamazioni. È la decisione di consentire, tra le pieghe di una Finanziaria complessa (e sperando, dunque, di non attirare attenzione), alla società torinese una mobilità lunga a spese dello Stato per i lavoratori in esubero. Questo provvedimento a lungo contestato dal governo di centrodestra, non è sbagliato perché aiuta la Fiat: farlo è ragionevole e quando viene perseguito anche dal governo Prodi con facilitazioni fiscali per le automobili di media-piccola cilindrata, classico prodotto dei torinesi, può essere condivisibile.
Sconcerta sia il carattere discrezionale dell'operazione sia lo strappo che produce nella politica previdenziale del governo: allo stato attuale in Italia si andrà in pensione a 65 o a 60 anni con 35 anni di contributi, ma non a Torino dove ci si potrà ritirare (noi «paganti») a 57. Sergio Marchionne sta facendo miracoli e va sostenuto. Non, però, a costo di introdurre elementi degenerativi nella già così delicata previdenza pubblica. Sulla grave forzatura pesa il particolare legame che Cesare Damiano, e con lui Piero Fassino, hanno con il Lingotto.

Conta l'ansia di recuperare rapporti di Prodi e la cultura assistenzialista a tout azimut di Rifondazione, oggi egemone sull'esecutivo. Le spiegazioni politiche non assolvono la gravità dell'errore: sarà un'altra questione su cui Montezemolo, anche presidente della Fiat, dovrà chiarirsi con i suoi associati confindustriali. Non sarà facile.

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