I segreti di un modello industriale che fa scuola

Roberto Bonetto

da Milano

Vita industriale e manageriale complicata, difficile quella della casa di Torino che nonostante abbia proposto molti progetti di grande importanza, non sempre riuscì a imporli sul mercato. Nel 1922, però, il mondo dell’auto impara qualcosa dalla tecnica Lancia che, guidata dal suo fondatore e padrone Vincenzo Lancia propone, per la prima volta, la scocca portante invece del classico telaio e un avantreno originale, scelte che cambieranno il modo di costruire le auto. La sua crescita industriale è notevole poiché dopo il «caso Lambda» la produzione aumenta supera le 8mila unità nel 1935 e la Lancia si candida come la seconda casa italiana, dopo la Fiat, naturalmente leader indiscussa. Sullo slancio del fenomeno Lamba, Lancia prosegue nella produzione con qualità meccaniche e stradali di altissimo livello. Nonostante una politica restrittiva del governo, le marche italiane nel 1936 si danno da fare: la Fiat, che detiene l’80% del mercato, lancia la super utilitaria 500, subito ribattezzata Topolino, geniale vettura economica finalmente popolare. Vincenzo Lancia, punta ancora su efficienza, qualità e genialità: dopo la Lambda arrivano la Dilambda, l’Astura, l’Artena, poi l’Augusta (anche lei del 1936) che introducono interessanti novità tecniche, come i freni idraulici anziché meccanici, i supporti elastici per motore e sospensioni o le quattro porte senza montante centrale che si aprono «a libro». Nelle prestazioni l’Aprilia con il suo motore in lega leggera e le lamiere «sottili» vanta un rapporto peso/potenza ottimale e un’aerodinamica che fa tesoro delle esperienze degli studi tedeschi, segnalandosi per prestazioni e raffinatezza. Certo, il prezzo è superiore a quello delle concorrenti ma il progetto Aprilia si afferma ugualmente, conquistando una posizione determinante (4.565 unità nel 1937). Lancia mantiene un ruolo centralizzante, controllore della progettazione e dei conti. Perciò la sua morte improvvisa, 15 febbraio 1937, sgomenta il management aziendale. La presidenza passa ad Adele, vedova di Vincenzo e, dal 1942, al figlio Gianni, giovane ingegnere entusiasta con tanti progetti in mente. Inizia con un 6 cilindri a V (60°) di 1.7 litri, montato sulla raffinata Aurelia B10 del 1950 e poi su altri versioni di maggiori cilindrata, vere delizie per i raffinati della guida. Prodotti d’eccellenza che però non fanno decollare la Lancia, tanto più che il giovane ingegnere ha una passione per le corse che reputa il mezzo ideale per rilanciare la sua produzione. Inizia con le Gran Turismo, poi con innovative vetture Sport e persino con le Formula 1 che porteranno la già barcollante azienda al tracollo. Così nel 1956 Lancia cede la sua azienda al finanziere-cementiere Carlo Pesenti che cambia la fisionomia dell’azienda che però non decolla.

Assume l’ingegner Antonio Fessia, convinto assertore (e progettista) dalla trazione anteriore che per un po’ lascia continuare la produzione su modelli rivisitati, come la Flaminia e l’Appia; poi nel 1960 la rivoluzione: ecco la Flavia, prima «tutt’avanti» italiana di serie, poi la più piccola Fulvia con gli stessi concetti Flavia. Poi una carrellata di successi fino ai giorni nostri.

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