I talebani sono più deboli dopo la morte di Dadullah

La morte del comandante Dadullah, la guida militare dei talebani afghani, è anzitutto uno straordinario successo per il governo Karzai e per la coalizione guidata dagli Stati Uniti. Ha un bel dire la nostra stampa di sinistra che non cambia nulla, e che morto un Dadullah se ne farà subito un altro. Dadullah non era solo un feroce tagliagole ma anche un abilissimo tessitore di trame diplomatiche. Era riuscito a rimettere insieme gruppi ostili a Karzai e all’Occidente ma divisi su tutto, utilizzando la carota di una sagace diplomazia intertribale e il bastone delle spietate punizioni inflitte a chiunque fosse accusato di collaborazionismo. L’Afghanistan non è mai stato un Paese unito ed è un mosaico di etnie e di lingue. Alla maggioranza pashtun, musulmana sunnita, si contrappongono le minoranze uzbeke e tagike nel Nord e Nord-Est (pure sunnite, ma con forti influenze sufi), hazara al Centro (di lingua persiana e sciita), dari a Ovest (persiana di lingua ma sunnita), più un’ampia serie di minoranze più piccole. Al di sotto dell’etnia si collocano le tribù, spesso in lotta fra loro. L’ideologia, l’investitura ricevuta dal fondatore del movimento talebano, il mullah Omar (con cui pure esistevano reali dissensi) e la leggendaria brutalità conferivano a Dadullah una capacità di tenere insieme varie fazioni ed etnie che non sarà facilmente sostituita. Dadullah aveva usato il suo potere per importare in Afghanistan i metodi usati dall’ultra-fondamentalismo islamico in Irak e in Algeria: l’uso di terroristi suicidi e gli attacchi ai civili, compresa l’impiccagione di tutti gli abitanti dei malcapitati villaggi accusati di collaborare con gli americani. Questi metodi, probabilmente, continueranno e la lezione di Dadullah su come il terrore e la ferocia qualche volta paghino purtroppo non andrà perduta. Da questo punto di vista il sequestro Mastrogiacomo rimane il maggiore successo nella carriera del comandante talebano. I talebani hanno subito annunciato che Dadullah sarà sostituito dal fratello Bakht: ma quest’ultimo, se è un mullah autorevole negli ambienti religiosi, ha ancora una scarsa esperienza politica e militare. Come ha scritto il giornalista Saied Anwer, la morte di Dadullah «indebolisce i talebani del cinquanta per cento».
Alle buone notizie sulla morte di Dadullah fanno da contrappunto quelle cattive sull’esplosione di un ordigno che ha ferito due dei militari italiani nella zona di Herat, e sulle previsioni del loro comandante, il generale Antonio Satta, su possibili più violenti attacchi alle nostre truppe nei prossimi giorni. Il ministro Parisi, che si appresta a riferire sull’Afghanistan in Parlamento, ha il dovere di dotare i nostri militari di mezzi adeguati. Ma il problema non è solo tecnico.

È l’ambiguità del governo Prodi che, per tenere unita la sua maggioranza, deve presentare come missione di pace quella che è ormai, a tutti gli effetti, una spedizione in una zona in cui è in corso una guerra che crea confusione sulle regole d’ingaggio e mette a rischio i nostri soldati.

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