Indagini perfette solo in libreria

A ssisto ogni giorno, stupefatto e leggermente inorridito, alle continue rivelazioni o pseudorivelazioni (tumultuose, contraddittorie, disorientate) sul caso della povera Yara. Tutte queste notizie danno una somma molto vicina allo zero. Alla fine la sola cosa che sappiamo sulla dinamica della sua morte è che non sappiamo proprio niente e ci sfiora il sospetto che le indagini non siano state condotte nel modo migliore. Ma la lista dei casi irrisolti è così lunga da farci pensare anche un’altra cosa, e cioè che l’Italia stessa, nonostante le giuste celebrazioni per i suoi 150 anni, sia un caso ancora irrisolto, e che i brancolamenti di chi svolge le indagini somiglino ai brancolamenti di noi tutti ben più di quei commissari e ispettori perfetti e infallibili che popolano tanta nostra letteratura.
I romanzi e la fiction tv italiane da qualche anno sono infatti pieni di poliziotti e investigatori capaci di risolvere tutti i casi, anche i più complicati. Sono sagaci e lungimiranti, non si fidano delle apparenze, e soprattutto conoscono bene la natura umana e sanno perciò che il delitto perfetto non può esistere. Insomma, nel Paese dei casi irrisolti, dei delinquenti a piede libero, degli assassini impuniti, dei ladri comodamente seduti su poltrone di prestigio, il solo mondo che funziona è quello dei libri e dei telefilm: lì i poliziotti sono buoni e umani, i commissari sono delle specie di papà, ma al tempo stesso la criminalità deve temere perché questi uomini bonari e afflitti da piccole tare e colpe veniali (peccatucci, vizietti) sanno essere spietati.
Noto, tra le altre cose, che a tenere banco (nella fiction) sono soprattutto i dipendenti pubblici, mentre gli investigatori privati sono in numero esiguo: segno di un Paese che vuole farcela grazie alle proprie istituzioni e non si fida troppo (come non si è mai fidato) dell’iniziativa privata. Il privato è un potenziale evasore fiscale, e trasformarlo in eroe sarebbe troppo. Meglio attestarsi sugli appuntati e i graduati. Peccato che graduati e appuntati non dimostrino, nei casi di cronaca, tutta questa infallibilità. Mi domando perciò come mai nessuno abbia pensato di chiedere una mano a tutti questi scrittori, soggettisti, sceneggiatori. Anche nella realtà l’uomo è imperfetto e lascia tracce, anche nella realtà esistono indignazione e buona volontà: però gli assassini non si trovano. Forse il commissario Montalbano potrebbe fornire qualche utile suggerimento.
Quarant’anni fa la letteratura italiana pullulava di partigiani, oggi di commissari che, suppongo, siano i loro figli. Del resto, dove volete che vadano i figli dei partigiani, o di quei partigiani lì? I loro padri, si dice, salvarono l’Italia dalla capitolazione al nazifascismo, ed è quindi ovvio che i figli, cresciuti nel rispetto degli stessi valori, continuino a voler difendere l’Italia da tutti coloro - mafiosi, assassini, imprenditori disonesti, narcotrafficanti, truffatori, politici corrotti - che ne deturpano il volto.
Diceva Borges che la nostra fantasia tende a riprodurre la struttura dell’universo, ossia che l’arte è imitazione della natura.

Ma allora, cari artisti, perché non accorciate il divario tra realtà e finzione e non impegnate una parte delle vostre notevoli risorse aiutando gli inquirenti? In fondo c'è gente che, con la fiction, guadagna ben più di chi si sporca le mani con i delitti veri. Non sarebbe ora di fare un po’ di giustizia anche su questo punto?

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