«Gli indiani? Ora masticano gomma italiana»

«Gli indiani? Ora masticano gomma italiana»

da Nuova Delhi

«L’India è un mercato difficile. Non bisogna venire qui e pensare di fare profitti in un’ottica di breve periodo. Non funziona. Ci vuole pazienza, perseveranza e capacità di adattamento». Parola di Stefano Pelle, che in 8 anni ha quintuplicato il fatturato della Perfetti Van Melle in India, l’unica vera «success story» del made in Italy nel Paese dei maharaja.
Dove la Fiat ha fallito anni fa con la Palio, la Piaggio si sta leccando ancora le ferite e altri hanno preferito la Cina, l’azienda dei fratelli Perfetti è riuscita a prendere gli indiani per la gola.
Ogni giorno in India si mangiano 30 milioni di caramelle e gomme da masticare con il marchio Perfetti vendute da un colossale network di un milione di chioschi e negozi. Numeri da far tremare i polsi, ma che per un Paese di un miliardo e passa di abitanti sono normali.
Mentre gli industriali italiani stanno preparando i bagagli per accompagnare Romano Prodi a New Delhi e la Farnesina ha proclamato il 2007 l’anno dell’India, ci si chiede sempre più quali siano le reali prospettive di un Paese che fino a poco tempo fa si conosceva solo per le vacche sacre e per Kabir Bedi. Stando alle previsioni degli economisti, al ritmo attuale di crescita dell’8%, l’India è destinata a diventare nei prossimi decenni la terza potenza economica mondiale grazie alla sua popolazione giovane (il 35% ha meno di 15 anni) e alla sua trasformazione in un polo mondiale dell'informatica, in pratica un «call center» globale che ci assiste in qualsiasi esigenza. Se però si esce dai centri studi, l’impatto con un Paese dove ci sono 300 milioni di poveri e il 35% di analfabeti è ben diverso. Anche se lo stato delle infrastrutture è cambiato, come ricorda Pelle che ha appena pubblicato un libro sulle opportunità di investimento nei Paesi Bric (Brasile, Russia, India e Cina), le cui royalties andranno in beneficenza. «Quando sono arrivato qui nel 1998 per andare nella nostra prima fabbrica a 30 km da Delhi spesso dovevo passare per i campi - spiega - mentre ora c’è una delle più grandi autostrade dell’India». Certo nulla a che vedere con Shangai, ma è solo questione di tempo. «Ormai l’India e gli altri Paesi emergenti sono da considerare come mercati di sbocco, non solo come base manufatturiera dove sfruttare una mano d’opera a basso costo». Secondo le stime, nei Paesi emergenti Bric i consumatori con reddito minimo di 3mila dollari sarebbero 400 milioni e nel 2010 saranno il doppio.
«La presenza in questi mercati è diventata obbligatoria», spiega Pelle, che dopo aver inaugurato un anno fa una nuova fabbrica in Bangladesh, ne sta aprendo una terza in India e un’altra nel vicino Sri Lanka, ma attenzione a non incappare in alcune trappole. È sbagliato, per esempio, non adattare il prodotto o la pubblicità alle esigenze e gusti locali. Oppure non tenere in considerazione il fattore prezzo in un Paese dove il reddito pro-capite è ancora molto basso». O ancora non garantire un servizio di post vendita adeguato. Il «cliente» indiano è «aperto», ma è anche molto tradizionalista. Tant’è che la Perfetti ha inventato per l’India un chewing-gum al «mirchi» (al peperoncino), l’elemento base della cucina indiana. Nel suo libro («Understanding Emerging Markets») Pelle ha dedicato un capitolo alla «cultural intelligence», ovvero a «come capire chi si ha di fronte e cercare di ragionare e anche a vivere con i suoi stessi schemi mentali».
Nonostante il rapido sviluppo delle infrastrutture urbane, come la nuova metropolitana di Delhi o i grattacieli di Gurgaon, chi arriva in India subisce ancora uno choc culturale. «Si pensi alle difficoltà esterne di vivere in condizioni climatiche di una città come Delhi che dove per 9 mesi l’anno ci sono oltre 30 gradi e dove, durante i monsoni, c’è un umidità del 95% - spiega Pelle - o anche all’impatto di vedere il degrado e la povertà della maggior parte dei suoi abitanti.

Un manager che arriva dalla Svizzera e approda a Calcutta o a Bombay si mette le mani nei capelli. L’impatto con la burocrazia locale, quando per esempio si entra nei grandi ministeri della capitale, può essere devastante se non lo si affronta con una certa predisposizione d'animo...»

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