Indignados alla milanese, esperti della protesta inutile

di Ormai sono diventati assidui frequentatori di piazza Affari. Sono forse analisti finanziari, esperti trader del mercato azionario, emissari di banche internazionali? Niente del genere: sono i soliti giovanotti (e talvolta anzianotti) dei centri sociali che ora, in omaggio alla consueta stucchevole esterofilia italiana, amano definirsi indignados, alla spagnola. Il fatto è che a protestare per settimane nella plaza del Sol di Madrid erano migliaia di giovani mentre i nostri patetici occasionali indignati sono qualche decina, ma anche loro, comunque, sempre con le tende d’ordinanza come impone il modello originale iberico. Ieri, per esempio, erano una ventina. Insufficienti anche per una partitella di calcio ma abbastanza per costringere le forze dell’ordine a militarizzare con blocchi stradali, controlli, mezzi blindati, assetto anti-sommossa, tutta la zona. Col conseguente disagio che potete immaginare per chi la frequenta. Forse la risposta adeguata e sufficiente a questa «protesta», che se non fosse fastidiosa sarebbe ridicola, potrebbe essere quella data dalla scultura di Catelan sotto la quale i ragazzotti si sono attendati: un bel dito medio rivolto verso l’alto.
In serata poi erano attesi due immancabili sacerdoti dell’indignazione, della protesta inutile, per tenere le loro vacue lezioni antisistema. Prima l’ex giornalista eternamente alla sinistra di sé stesso Giulietto Chiesa che avrebbe dovuto parlare ai giovani, pensate un po’, di «controinformazione e economia». Poi l'attore-autore Moni Ovadia. Tema: «culura e economia» ed è noto che col comodo passepartout della «cultura» si può parlare (e lamentarsi) di qualsiasi cosa e soprattutto accusare il «potere» di soffocarla. Ma è bastato un temporale a farne perdere le tracce. E poi chi dei due avrebbe potuto spiegare agli attendati di piazza Affari che il problema dell’Italia è il debito pubblico accumulato in più di trent’anni, che con la Borsa c’entra un fico secco? E chi avrà detto loro che comunque in quella piazza, dietro la facciata finto-neoclassica di palazzo Mezzanotte non si fanno più «affari» da un pezzo, non si contratta un bel niente perché la Borsa è ormai tutta virtuale e gli scambi avvengono solo via computer? Ma soprattutto può spiegare a quei ragazzi com’è successo che il Paese ha accumulato quasi 1.900 miliardi di euro di debito dello Stato, una cifra spaventosa che supera quasi del 20 per cento la ricchezza che produciamo in un anno? E che quel debito è fatto non solo di sprechi (tanti) ma anche di piccoli grandi privilegi distribuiti a pioggia per ragioni elettorali e clientelari, dalle pensioni ai quarantenni ai troppi dipendenti pubblici, da un Servizio sanitario nazionale inefficiente in gran parte del Paese e comunque costoso, ai vari finanziamenti alla «cultura» - vero, Ovadia? - dei brutti film e dei teatri fallimentari, eccetera. Insomma, un debito accumulato da noi stessi, da quanto abbiamo preteso dallo Stato e dalla politica e ottenuto nel corso dei decenni.

Chi fra i due guru di sinistra poteva spiegare queste banali cosette a quelle due decine di indignados del sabato sera, il meta-comunista o l’antirazzista a prescindere? Eppure si tratta di due maturi e informati signori i quali dovrebbero sapere, quanto meno, che nulla è più frustrante, soprattutto per dei giovani - se sono in buona fede ma in questo caso è lecito dubitarne -, della protesta inutile, sterile e fine a se stessa. Il guaio è che dalla frustrazione è facile passare alla violenza.

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