Inno alle calze (Befana esclusa)

di Tony Damascelli

Tra singolare e plurale c'è un mondo intero che cambia. Calza e calze, la differenza è evidente; il primo è un sostantivo quasi malinconico che riprende calore e ritrova nostalgie quando si presta a contenere dolci e zuccheri per l'Epifania; il secondo, invece, attira il fascino indiscreto perché comporta, immediatamente, l'abbinamento alle gambe. Tralascio, volutamente il calzino che già si porta appresso il diminutivo, spesso resta single perché basta un giro di lavatrice e, voilà, il socio di coppia scompare nel nulla di un risciacquo.

Lo tralascio perché spesso è mortificante, addormentato sulla caviglia del maschio, tristanzuolo mentre in altre viene esibito con colori improbabili che Arlecchino, a confronto, è maschera monocromatica. Torno a cose serie alle calze che avvolgono le gambe.

Gambe di una donna sulle e lungo le quali le calze assumono uno e mille significati. Di seta, di nylon, di filanca, di cotone, di lana, a rete, con la riga o cucitura, autoreggenti, da portare con il reggicalze, ormai in disuso se non nei bordelli o negli spettacoli di burlesque, uccise dagli abominevoli collant, così utili, pratici e così malinconici, anonimi, prevedibili e, infine, poco igienici.

Le calze, dunque, un inno alla trasgressione, l'ultimo passo prima della nuda gamba che non è la stessa cosa perché l'incantesimo della seta, quel gesto, che diventa rito, di spogliare lentamente la gamba non ha uguali e sopravvive in alcuni fotogrammi magici della cinematografia: cinquant'anni fa, la gamba velata di nero di Anne Bancroft fece stupire l'imbarazzato Dustin Hofmann de Il laureato. Sofia Loren, in Ieri oggi e domani, sventola dal piedistallo della sua già maestosa guepière, il vessillo di seta nero dinanzi al quale giace Marcello Mastroianni. Così come le calze e tutta l'apparecchiatura di Laura Antonelli in Malizia, là dove la fantasia correva più veloce della pellicola di Samperi.

Pochi sanno, per motivi di anagrafe, che ante Trump natum, nell'America degli anni Quaranta, il nylon prodotto a vagonate dalla Dupont, venne requisito per motivi bellici (ideale per i paracadute) dal governo ma questo portò a creare artifici personali poi in produzione dalla più grandi fabbriche si cosmesi, Max Factor, Elizabeth Arden, Helena Rubinstein: le donne si tingevano le gambe, come se si trattasse di calze, usavano the scuro, fondo di caffé e quindi rossetto scuro per la riga o cucitura, la leg lotion venne messa in offerta e fino alla fine della guerra

il problema venne così risolto, con una battuta che diventò il simbolo e un alibi: meglio che tuo marito abbia il segno del rossetto sul colletto della camicia che il segno delle calze liquide sulla schiena della stessa.

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