Il viaggio era fissato da una settimana, da quando un missile di Hezbollah aveva ucciso dodici ragazzini sulle alture del Golan. Era, quello, l'inizio di un'escalation che - passando per l'omicidio mirato del capo di Hamas, Ismail Haniyeh - è arrivata ai giorni nostri con l'Iran che si prepara ad attaccare Israele.
A partire da quel primo attacco, il 27 luglio scorso, l'attenzione della Difesa nei confronti di ciò che stava accadendo in Libano è aumentata esponenzialmente e si è deciso - in quei frangenti concitati, mentre il Medio Oriente sembrava correre verso il baratro - di mettere gli «scarponi sul campo», con una missione del generale Francesco Paolo Figliuolo che oggi sarà nel Paese dei cedri. Non una visita simbolica, ma pratica. In Libano, infatti, l'Italia gioca una partita fondamentale: è lì che sono attive le missioni Unifil e Mibil che servono non solo a sostenere la fragile stabilità di Beirut ma anche a favorire la quiete con il confinante Stato d'Israele. Il tutto nella cornice del fronte sud della Nato per la quale il governo aveva (giustamente) chiesto un rappresentante che però non è arrivato. Mibil ha tre compiti fondamentali: supporto ai rifugiati, all'economia del Libano e alle sue forze armate. Più complessa, e non priva di rischi, è invece la partecipazione alla missione Unifil, che ha, tra gli altri, il compito di realizzare i pattugliamenti a sud, laddove Hezbollah è più attivo e dove si verificano i maggiori confronti con Israele. La visita di Figliuolo certifica la volontà di continuare con queste due missioni che, oggi, possono fare la differenza. Ma non solo. Oltre a questo, essere in Libano dimostra che l'Italia può ancora esercitare il suo ascendente per portare Hezbollah e Israele, se non al dialogo, almeno a mantenere lo status quo. Restare nel Paese dei cedri è fondamentale infatti non solo per l'Italia, ma anche per il Medio Oriente stesso e per le Nazioni Unite che, non a caso, sono presenti in Libano dal 1978 e che, nel corso dei decenni, hanno fatto la differenza facendo da forza di interposizione tra le due parti. Uno scenario, questo, che potrebbe verificarsi anche in questi giorni.
Forse l'attacco iraniano arriverà a breve. O forse no. Gli iraniani sanno aspettare. Sanno che la vendetta va consumata quando il nemico non se l'aspetta. Ma ci sarà. E Israele è pronto a ogni scenario.
Non solo a difendersi, ma anche ad aprire un nuovo fronte, questa volta a nord, per chiudere, forse per sempre, la partita con Hezbollah. Da qui la grande preoccupazione della nostra Difesa che, con la diplomazia, sta cercando di riportare tutti a più miti consigli. Perché gli scenari all'orizzonte sono sempre più preoccupanti.
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