La (finta) svolta liberista di «Repubblica»

La strategia del presidente Cir per riposizionare il gruppo: fa affari con le lobby che il quotidiano stronca

Circola la voce, registrata dalla Zuppa di Porro sul Giornale, che Francesco Giavazzi andrà ad allargare la pattuglia di commentatori liberisti della Repubblica (Alessandro Penati, Alberto Bisin, Alberto De Nicola) che affiancano le penne keynesiane «repubblicane» spesso ormai molto stanche a partire da Eugenio Scalfari e Massimo Riva. Cattiva notizia per Mario Monti che vedrà un fustigatore più libero di fargli del male, e astrattamente buona notizia per il pluralismo giornalistico. Che nelle testate schierate vi siano voci non allineate è ottima cosa: il commentatore repubblicano più lucido è stato a lungo William Safire, legatissimo a Richard Nixon, sull'ultra liberal New York Times.

La cosa, però, è più complessa per il quotidiano di Largo Fochetti e la sua proprietà, la Cir debenedettiana: che se da un canto se le danno da giornalismo all'anglosassone, dall'altra non paiono dimostrare sempre questo stile. L'altro giorno sull'Economist in una recensione si leggeva che l'autore del libro esaminato era redattore del Financial Times, quotidiano - si segnalava - nella cui proprietà c'è il gruppo Pearson controllante anche la testata recensente. Invece la Repubblica conduce da mesi una feroce campagna contro la Regione Lombardia trascurando di ricordare sistematicamente ai lettori che il gruppo che la controlla, è socio di riferimento di una Kos convenzionata con la stessa Lombardia, e altre regioni, per servizi sociosanitari. Né sarebbe male accennare come nelle terre dei Batman, giustamente messi sotto torchio dagli uomini di Ezio Mauro, non sono pochi gli insediamenti del gruppo energetico Sorgenia, altra controllata dalla Cir.

Anche in politica Repubblica e soprattutto il proprietario non si limitano alla funzione di cane da guardia - spesso legittimamente schierato - dell'opinione pubblica: «partecipano» sia con lobby influenti soprattutto nella magistratura (cosa che può risultare talvolta assai utile) come Libertà e Giustizia, sia con l'attivismo di Carlo De Benedetti a lungo impegnato a creare un varco per il Quirinale a Romano Prodi (il che consentirebbe una nuova centralità al suo quotidiano scalzando il Corriere della Sera), tenendo come carta di riserva Giuliano Amato, e cercando insieme una presidenza lombarda per Bruno Tabacci. Il tutto alternando attacchi e blandizie a Matteo Renzi (sempre per aprire nuove vie a Prodi) e all'amico «energetico» Pier Lugi Bersani (ieri omaggiato al Collegio di Milano mentre si dava un ipocrita bacio della morte a un poco amato Monti), innanzi tutto per contenere il non sopportato Massimo D'Alema. Tutto ciò c'entra poco con sacrosante prese di posizione, e attiene in modo più pertinente al campo delle manovre politiche, legali, certo, ma contraddittorie con la pretesa di giornalismo all'anglosassone. Il che fa riflettere anche sull'uso dell'«opinionismo» liberista che in qualche modo appare più strumento di disgregazione delle posizioni avversarie che vero omaggio al pluralismo. Non stupisce in questo senso vedere poi questi editorialisti liberisti, accompagnati anche dall'economista presidente della Cir, impegnati in politica a disgregare il già poco solido centrodestra, e a presidiare in questo schieramento le ragioni del giustizialismo (niente separazione della carriere, meccanismi di «delazione», elogi ad Antonio Ingroia). E non ci addentriamo nelle manovre in campo internazionale dove De Benedetti ha come principale interlocutore un George Soros le cui analisi sulla Germania peraltro oggi appaiono simili a quelle di Silvio Berlusconi.

Sia chiaro, non si vuole criticare qui la scelta di un giornalismo di combattimento (sarebbe bizzarro su un quotidiano come il Giornale che di questa cifra fa la sua ragione di esistere) ma il coprirla con un manovrare, con reticenze e affettate ipocrisie ben oltre le convenienze.

Il presidente Giorgio Napolitano parla di ritrovare un senso civico nell'affrontare la crisi così grave che vive l'Italia. In questo senso non sarebbe male anche tener presente certi moralisti dal lunghissimo pelo sullo stomaco.

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