Crescita e consumi: sull'agenda solo pagine bianche

L’agenda del premier è una scatola vuota priva di norme per rilanciare lo sviluppo

L'agenda Monti mi pare una montagna che ha partorito il topolino, ossia una montatura. Infatti non risponde minimamente al quesito fondamentale a cui dovrebbe rispondere per qualificarsi come un programma neoliberale diverso da quello del Pd, che è un programma tradizionale di tutela delle posizioni esistenti, incompatibile con la necessità di combinare il rigore con la crescita economica. E per l'appunto, Monti, nel chiaro tentativo di elaborare un programma che possa servire per un governo di coalizione con il Pd alleato di Vendola, nella sua agenda, doviziosa di belle frasi, rimane nel generico e non affronta il tema centrale, che è quello di come far crescere la nostra economia, pur realizzando il principio anti keynesiano del pareggio del bilancio.

A cui si aggiunge quello, inedito nei programmi liberali, della riduzione del 5 per cento all'anno del rapporto fra debito pubblico e Pil in eccesso al 60%, con eventuali surplus di bilancio, secondo un meccanismo di prelievo di sangue finanziario dall'economia, senza alcun riguardo al criterio di neutralità della finanza pubblica rispetto al mercato. Monti accetta senza le qualificazioni questa regola del 5 per cento annuo di riduzione del debito, che Berlusconi aveva ottenuto di attenuare, con la clausola per cui bisogna tenere conto che noi abbiamo un alto debito pubblico, ma anche una importante ricchezza netta delle famiglie che vi fa da contropartita.

Il tema della crescita è fondamentale per evitare che il rigore stremi la nostra economia e che essa, sotto il peso delle imposte elevate e della scarsa domanda interna deperisca, perdendo la sua potenza industriale. È noto che a ciò c'è una risposta di origine keynesiana, consistente nelle alte paghe e una elevata spesa sociale che generano una elevata domanda di consumi, in regime di deficit di bilancio. Secondo la teoria neokeynesiana, teoria che ha largo seguito negli Usa e nel Pd e nel mondo sindacale, con questa politica di deficit socialmente qualificato si genera la crescita economica. E questa, dando luogo a maggiori entrate porta poi al pareggio del bilancio.

Ma questa soluzione, che appare poco realistica, ci è comunque preclusa dalla regola per cui prima bisogna mirare al pareggio (e, per Monti, alla riduzione del debito del 5% annuo). Dunque bisogna adottare politiche di crescita diverse. In effetti la lettera che la Bce aveva mandato al governo Berlusconi nel 2011 conteneva, come punto fondamentale, quello di tali nuove politiche di crescita. La discussione allora in corso fu interrotta, per fare largo a Monti, che sembrava capace di risolvere il problema del rigore assieme allo sviluppo e che, per dimostrarlo, chiamò «cresci Italia» i suoi decreti che - invece - hanno generato una depressione del Pil del 2,4% contro la previsione dell'1%.

Ciò essenzialmente perché hanno depresso il settore immobiliare e quindi l'edilizia. Monti poi ha seppellito il rilancio delle infrastrutture, che si può fare in regime di bilancio in pareggio dando ampio spazio all'iniziativa privata con procedure semplificate. E si è lanciato in campagne giustizialiste che hanno spaventato il risparmio e il turismo e hanno provocato nuove fughe di capitali. Il suo programma, ora reso noto, continua su tale linea. Non contiene misure per il rilancio delle infrastrutture, con le modalità che ho detto. Insiste nella tassazione immobiliare e nella guerra al mattone.

Contiene l'annuncio di una imposta patrimoniale. E sembra fatto apposta per spaventare il risparmio. La ricetta per rilanciare l'economia, in regime di pareggio del bilancio, che gli economisti non keynesiani propongono, oltreché basarsi sul favore fiscale al risparmio, invece della guerra al medesimo e sulla politica delle infrastrutture affidate in gran parte alla privata iniziativa con procedure snelle, si fonda su due altri pilastri, che nella agenda Monti mancano. Il primo di essi è la cessione sistematica dei beni pubblici che serve sia a ridurre il debito pubblico sia a rilanciare le iniziative private.

L'altro è la liberalizzazione del mercato del lavoro, sostituendo il contratto aziendale a quello nazionale, come contratto fondamentale e liberalizzando le formule contrattuali diverse dal contratto a tempo indeterminato, comprese le partite Iva.

Non è possibile pareggiare il bilancio e rilanciare l'economia, accettando il cambio fisso dell'euro, che impedisce la svalutazione della moneta, se non ci sono le condizioni che ho appena detto. Ergo questo programma è una scatola vuota.

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