Alzare le pensioni Il piano del Cav vale due miliardi

Il Pdl prepara la rivalutazione a 800 euro degli assegni minimi. Sono ancora fermi all'ultimo aumento: lo fece Berlusconi nel 2002

Alzare le pensioni Il piano del Cav vale due miliardi

Assieme ai disoccupati, sono quelli che più soffrono i morsi di una crisi che sta incidendo come un bisturi impazzito sul tessuto economico del Paese. Basta osservarli, i pensionati, mentre al supermercato faticano a riempire il carrello della spesa: perché l'inflazione picchia forte proprio sui generi alimentari, spesso su quelli di prima necessità, a causa di quell'effetto di trasmissione perverso creato dal lievitare del costo dei carburanti. E poi bisogna anche fare i conti con l'affitto da pagare, con le bollette che rincarano, con un vestito da cambiare. E non c'è indicizzazione che tenga, nessuno scudo contro il carovita: i prezzi corrono più in fretta, svuotando portafogli e speranze.

Una guerra quotidiana combattuta da quel 52% di ex lavoratori che riceve un assegno mensile inferiore ai 1.000 euro. Ma tra questi, c'è anche chi sta peggio. Sono quelli con la «minima», oltre 1.170.000 italiani cui Silvio Berlusconi ha garantito, venerdì sera, che in caso di elezione ritoccherà l'importo della pensione alzandolo a 800 euro al mese. L'idea del leader del Pdl è una sorta di versione 2.0 del «Contratto con gli italiani» del 2001 con cui la Casa delle Libertà si impegnava, a far data dal primo gennaio del 2002, a portare le pensioni minime da 392 a 516 euro, ovvero un milione delle vecchie lire. Da allora, i pensionati si sono ritrovati in tasca 1.610 euro in più ogni anno, con un esborso per le casse dello Stato pari a due miliardi di euro.

Non un centesimo in più, secondo i calcoli dell'ex ministro per la Pubblica amministrazione e l'Innovazione, Renato Brunetta, costerà lo sforzo di adeguare ulteriormente le pensioni minime. Anche perché, rispetto a inizio millennio, la platea dei soggetti interessati si è assottigliata. Inoltre, la copertura verrà trovata all'interno del programma di riduzione della pressione fiscale con cui si intende assegnare a famiglie e imprese 16 miliardi per cinque anni. In ogni caso, non va trascurato già il fatto di non pesare sul bilancio pubblico in un momento in cui l'opera di risanamento si è fatta ancora più complicata, complice una recessione aggravata dalle misure di austerity.

E poi c'è l'esigenza di colmare un vuoto durato almeno un decennio, quello in cui gli importi degli assegni hanno solo parzialmente tenuto il passo dell'inflazione. Molti italiani, non va dimenticato, hanno parecchio sofferto il cosiddetto change over, ovvero il passaggio dalla lira all'euro, scandito dalle polemiche generate dai fenomeni speculativi e dagli squilibri sui prezzi andati ben al di là della raccomandazione comunitaria di arrotondare il prezzo convertito al centesimo più vicino.

Insomma: due ingredienti per un cocktail che si è rivelato tanto amaro quanto micidiale per la capacità di spesa dei pensionati. Con gli anni, il dibattito - per la verità un po' carsico - sui danni da change over è andato spegnendosi. Ma sulla base di alcune stime, negli ultimi 10 anni il potere d'acquisto delle pensioni ha perso ben il 30%, una percentuale che già di per sé rivela quanto poco sia stato fatto per mettere i pensionati in grado di tenere il ritmo dei prezzi al consumo e di sopportare lo choc da euro. «Noi vogliamo restituire ai pensionati - spiega infatti Brunetta - quanto perso nel decennio a causa dell'inflazione e dell'euro. Prevedere che nessun pensionato in Italia - aggiunge - abbia un reddito inferiore a 800 euro al mese è un atto di giustizia sociale e di continuità rispetto al nostro impegno».

Gli 800 euro

costituiscono, per l'appunto, la rivalutazione dei 516 euro erogati nel 2002. Un ricalcolo teso a garantire ai percettori della minima 168 euro al mese in più, ovvero 2.185 euro l'anno. Alla faccia del carrello semi-vuoto della spesa.

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