“Fascista”, “amica di Orbàn”, “illiberale”. Giorgia Meloni è a Palazzo Chigi da un anno, ma le accuse non cambiano. Il Pd sembra privo di argomenti oppure con l’orologio fermo a un anno fa quando, in piena campagna elettorale, Enrico Letta intravedeva una catastrofe nell’eventuale vittoria del centrodestra.
“Meloni sta cercando di cambiare immagine, di incipriarsi. Mi sembra un’operazione abbastanza complicata quando i punti di riferimento sono la Polonia e Orban”, aveva detto l’allora segretario del Pd durante il faccia a faccia con il leader di Fratelli d’Italia. Il rapporto tra la Meloni e il premier ungherese Viktor Orban è la foglia di fico che il Pd usa quando vuole rimproverare il presidente del Consiglio di un presunto isolamento internazionale che, in realtà, non esiste. Neanche sul tema dei migranti. Basti pensare che il memorandum con la Tunisia è stato firmato alla presenza del presidente della Commissione Ue, Ursula Von Der Leyen, la quale ha partecipato anche alla conferenza di Roma sull’immigrazione che ha coinvolto vari Capi di Stato e di governo africani.
Intellettuali di sinistra come lo storico Alessandro Barbero o lo scrittore Nicola Lagioia hanno parlato apertamente del pericolo di una "deriva autoritaria”. Il primo, intervistato da La7 nel novembre dello scorso ha detto chiaramente: “Si teme sempre di fronte a un governo di destra”, mentre il secondo ha espresso chiaramente lo stesso timore quando, da direttore del Salone internazionale del libro di Torino, era stato criticato dal centrodestra per non aver fermato la contestazione delle femministe al ministro Eugenia Roccella. Di deriva autoritaria parla sempre l’opposizione ogni qual volta il governo approva un decreto volto a ripristinare la legalità, sia che si parli del decreto Rave o persino del decreto Caivano. La risposta dell’opposizione è sempre la stessa: “la repressione non basta”, lasciando quindi intendere che l’Italia abbia un governo di estrema destra repressivo.
Ma l’accusa più ricorrente è ovviamente quella di non aver realmente ripudiato il fascismo. Sia che si tratti di ricordare il 25 aprile, Festa della Liberazione, sia che si tratti di festeggiare il 2 giugno, Festa della Repubblica, la solfa è sempre la stessa: “Meloni non riesce a dirsi antifascista e neppure a pronunciare la parola antifascismo”. Ogni volta arriva la pretesa di fare una sorta di ‘esame del sangue’ al premier Giorgia Meloni.
E che dire della scrittrice Michela Murgia che, persino in punto di morte, intervistata dal Corriere della Sera, disse: “Spero solo di morire quando Giorgia Meloni non sarà più presidente del Consiglio perché il suo è un governo fascista”.
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