Arrivano gli effetti (negativi) della mancetta elettorale

Oggi scade la prima rata Tasi: gli italiani scopriranno quanto è costato finanziare il bonus Irpef di 80 euro

Arrivano gli effetti (negativi) della mancetta elettorale

La data di oggi è segnata in rosso sui calendari degli italiani. E non perché sia un dì di festa. Anzi. Fra tutti è il giorno più temuto dell'anno. Si paga la Tasi. Fino all'ultimo si è sperato (inutilmente) che il conto fosse meno salato rispetto alla vecchia Imu, ma di fronte ai modelli F24 i contribuenti hanno avuto la certezza: è un salasso. Eppure sulla Tasi alla fine ci eravamo tutti rassegnati. Con pazienza abbiamo aspettato di conoscere aliquote e scadenze precise, abbiamo bloccato le decisioni di consumo e/o di investimento e pagheremo. Qualcuno l'ha già fatto. E, assolto il dovere, pensavamo che il peggio fosse passato. Invece no. Per finanziare la mancia di 80 euro con cui Matteo Renzi ha vinto le elezioni europee, di tasse ne sono state introdotte altre. E altre ancora aumenteranno per effetto delle clausole di salvaguardia nascoste qua e là nei provvedimenti economici dell'esecutivo. Ma non finisce ancora qui: per rispettare i parametri europei, messi in pericolo dal bonus elettorale di Renzi, non è esclusa una manovra correttiva da 3-9 miliardi a fine anno. È questo il senso degli «sforzi aggiuntivi» chiesti dalla Commissione europea al governo italiano lo scorso 2 giugno nelle valutazioni sul Def, da cui è emerso che le stime di crescita presentate da Padoan (+0,8% nel 2014) sono irrealizzabili e i conti tutti da rifare. Ed è questo il senso di una frase un po' ostica ai più: «L'intervento strutturale pianificato è inferiore ai requisiti stabiliti dal meccanismo preventivo del Patto di stabilità»; ma di facile traduzione: «manovra correttiva». Le tasse sulla casa Secondo il servizio politiche territoriali della Uil, per il 52,8% delle famiglie la Tasi sarà più pesante di quanto pagato per l'Imu nel 2012, che già di suo aveva registrato un record. I calcoli li abbiamo fatti anche noi, utilizzando i dati Istat.

Nel 2013, con l'eliminazione dell'Imu sulla prima casa il gettito avrebbe dovuto attestarsi intorno a 20 miliardi. Tuttavia i Comuni hanno esercitato al massimo la propria autonomia impositiva sulle seconde case, per cui il gettito complessivo dell'Imu nel 2013 è stato intorno a 24 miliardi, nonostante l'esclusione della prima casa e nonostante lo Stato abbia comunque trasferito ai Comuni 4 miliardi a titolo di rimborso della cancellazione dell'Imu prima casa. Questo ha aumentato ulteriormente il surplus di bilancio delle amministrazioni locali, già registrato nel 2012 proprio a seguito dell'introduzione dell'Imu di Monti. Con le nuove Tasi e Tari, i margini dei Comuni vengono ulteriormente ampliati, e nel 2014 il gettito rischia di raggiungere i 35 miliardi di euro. Un aumento, rispetto al governo Berlusconi, di oltre 25 miliardi. Questo senza considerare l'imposizione sul trasferimento degli immobili (Iva, imposta di bollo e di registro, imposte ipotecarie e catastali, successioni, donazioni) e quella sui redditi prodotti da questi ultimi (Irpef, Ires, imposta di bollo e di registro, cedolare secca). Stando ai calcoli della Cgia di Mestre, il carico fiscale complessivo sul patrimonio immobiliare degli italiani nel 2014 raggiungerà 52,3 miliardi di euro.

Le tasse sul risparmio Tutti abbiamo in mente l'aumento della tassazione sul risparmio, che Renzi impropriamente chiama «rendite finanziarie». «Tassare le rendite finanziarie» suona alle orecchie del popolo come una giusta punizione inflitta ai ricchi per aiutare i poveri. Ma con l'aumento dell'aliquota dal 20% al 26% sugli interessi da conti correnti, azioni e obbligazioni, il presidente del Consiglio non fa altro che colpire i risparmiatori, più o meno piccoli. Anche qui, quattro conti: da novembre 2011, ultimo mese del governo Berlusconi, a febbraio 2014 (ultimi dati disponibili), il gettito derivante dalla tassazione del risparmio è passata da 331 milioni a 1,4 miliardi. Se a questo aggiungiamo i 2,6 miliardi stimati da Renzi derivanti dall'ulteriore inasprimento fiscale sul risparmio a partire da maggio 2014, siamo a quota 4 miliardi: più di 12 volte la tassazione di novembre 2011. Se a ciò aggiungiamo l'aggravio nella tassazione sulla casa, ne deriva un aumento del carico fiscale complessivo pari a quasi 30 miliardi di euro in meno di 3 anni. Una patrimoniale bella e buona. Grazie Monti, grazie Letta, grazie Renzi. Nota a margine: la ragione dell'aumento della tassazione sul risparmio, addotta dal governo, è che nel nostro paese il suo livello sia inferiore rispetto agli standard internazionali. Ma nei ragionamenti di sinistra si vede solo l'aliquota che colpisce direttamente gli interessi percepiti, senza tenere conto degli altri balzelli. Se si fanno le somme si può vedere che quel gap di tassazione rispetto agli altri paesi europei proprio non c'è.

Tasse nuove e vecchie aumentate da Renzi Ammontano ad almeno una decina. La più «bella» Renzi la attribuisce a Letta, ma il presidente del Consiglio avrebbe potuto bloccarla e non l'ha fatto. Ci riferiamo all'aumento dello 0,8 per mille del tetto massimo cui poteva arrivare la Tasi. Così non è stato. Risultato: l'aumento della Tasi c'è stato (e oggi lo paghiamo), ma il riconoscimento delle detrazioni alle famiglie numerose no. E poi, da quando Renzi si è insediato a palazzo Chigi abbiamo visto: l'aumento della tassazione sul risparmio; il raddoppio dell'imposta sostitutiva dovuta dalle banche; il taglio delle detrazioni Irpef per chi ha redditi superiori a 55.000 euro; l'accorpamento da 3 rate a un'unica rata (anch'essa in scadenza oggi) per il versamento dell'imposta sulle rivalutazioni dei beni aziendali per le imprese; l'aumento dall'11% all'11,5% del prelievo sui Fondi pensione; l'aumento del bollo auto e del bollo dovuto sul passaporto; l'ampliamento della platea di aziende cui si applicano aliquote Irap straordinarie (e che quindi non beneficiano dello sbandierato taglio del 10% dell'Irap); l'aumento delle accise su benzina, tabacchi e alcolici. Tutto questo, dicevamo, per distribuire una mancia elettorale di 80 euro netti al mese a 10 milioni di persone. A scapito degli altri 31,4 milioni di contribuenti italiani. Il decreto Irpef ha finito per dare il colpo mortale alla finanza pubblica italiana: è diventato un'imbarazzante bomba sporca a orologeria, con effetti distruttivi ritardati, la cui portata non è ancora stimabile in maniera definitiva, ma stiamo scoprendo via via che si avvicinano le scadenze fiscali. Era questo ciò di cui aveva bisogno il paese? Aumentare il potere d'acquisto di alcune categorie (lavoratori dipendenti con redditi tra 8mila e 26mila euro), caricando su tutte le altre il costo fiscale dell'operazione? C'erano le risorse per farlo? Questo provvedimento ha prodotto un effetto positivo? No. Secco. È stata una forzatura a beneficio di pochi, che ha indotto la Commissione europea e la Bce a chiedere al governo una manovra correttiva, e che presto tutti saremo chiamati a pagare.

Altro sarebbe stato fare una vera riforma fiscale, per la quale sarebbe bastato anche solo scrivere i decreti legislativi di attuazione della delega fiscale approvata in via definitiva dal Parlamento da quasi 4 mesi. E forti di ciò andare a negoziare con la Commissione europea dei margini di flessibilità nel piano di rientro dell'Italia dal deficit e dal debito pubblico.

Renzi ha preferito pensare alle elezioni europee, per dare al suo governo una legittimazione popolare che non aveva, piuttosto che elaborare una strategia di politica economica di ampio respiro. Ha peccato, dunque, di egoismo e di miopia. Caratteristiche alquanto infauste per un giovane leader che vuole cambiare l'Italia.

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