Astensione e protesta: quel fuggi fuggi è uno sputo a tutti i partiti

Con una sintesi brutale, le elezioni sici­liane si commentano in poche parole: l’anti­politica arriva al 76%

Il partito più forte in Sicilia è quello dell’astensione. Un record in Italia: oltre il 50 per cento. Se teniamo con­to soltanto di coloro che si sono de­gnati di recarsi al seggio, allora è Beppe Grillo a piazzarsi in vetta alla classifica. Una prodezza, la sua. Egli infatti è arrivato a nuoto nell’isola circa tre settimane fa,e in una ventina di giorni ha conquistato un po­sto al sole, che poi è una stella e si aggiunge alle cinque già presenti sul simbolo del mo­vimento fondato dal comico. Che adesso non fa più ridere, ma semina il panico tra i professionisti della politica straccia.

L’affermazione sicula prelude al trionfo che Grillo avrà alle consultazioni nazionali della prossima primavera. Se ieri ha ottenu­to con la lista intorno al 15 per cento, l’anno venturo incasserà minimo il 20. Un dato del genere, del tutto probabile, sarà il certificato di morte dei partiti tradizionali di destra e di sinistra e di centro, estinti causa suicidio. Es­si, infatti, nonostante la crisi propria, la crisi internazionale e la crisi istituzionale del no­stro Paese, invece di riorganizzarsi e dedicarsi con tenacia alla soluzione dei problemi del­la gente, si sono intorcinati badando sola­mente a interessi di bottega: la spartizione del potere e la conservazione della poltrona con privilegi annessi e connessi.

Partiti talmente sfilacciati e inconclu­denti al punto da essere costretti, un anno fa, a cedere il timone ai tecnici per manife­sta inadeguatezza. E ora pagano dazio. Il Pd, nonostante se la tiri tanto, in Sicilia ar­ranca: ha raccolto la miseria del 13 e rotti per cento, benché, con la coalizione di sini­stra, si sia aggiudicato, grazie a Rosario Cro­cetta, il trono di governatore. Il quale gover­natore, tuttavia, faticherà (forse invano) ad avere in Consiglio regionale una mag­gioranza che gli consenta di governare, visto che il Parlamento sarà occupato da uno spezzatino politico disomogeneo. In queste condizioni, rag­giungere un accordo e stabilire alleanze durature, almeno sulla carta, è impossibi­le.

Occorre registrare la disfatta del Pdl: 12,4 per cento (il dato si riferisce a 4.292 se­zioni su 5.308). Il candidato Nello Mu­sumeci, pur intorno al 25 per cento, si è beccato 6 punti in meno dell’avversario Crocetta,sostenuto anche dall’Udc. Qual­cuno dice che Angelino Alfano abbia com­messo l’errore di sganciare Gianfranco Miccichè, perdendo così un bel po’ di con­sensi. Se è per questo, al Pdl sono mancati anche i voti del Fli (4 per cento). Ma qui il segretario pidiellino non c’entra. Biso­gna fra l’altro riconoscere che quando egli ha ereditato lo scettro di Silvio Berlu­sconi, il partito era già in tocchi, e atten­dersi il miracolo di un ricompattamento era illusorio.

La realtà va guardata in faccia, e fa pau­ra: nel giro di qualche annetto il centrode­stra, per vari e noti motivi, ha dissipato un patrimonio che sembrava indistruttibile. Un’analisi del fallimento richiederebbe una spietatezza che non è il momento di sfoderare. Limitiamoci a riferire le cifre del grave dissesto e auguriamoci che co­lonnelli e caporali berlusconiani (ex For­za Italia ed ex An) la smettano di litigare e si impegnino a ricucire strappi e smaglia­ture, altrimenti il Pdl andrà (metaforica­mente, stavolta) a puttane.

Con una sintesi brutale, le elezioni sici­liane si commentano in poche parole. Tra astensioni (53 per cento), schede bianche (4 per cento) e voti assegnati al candidato di Grillo (18 per cento), l’anti­politica arriva al 76 per cento.

Chi ha trac­ciato la croce sul simbolo del Movimento 5 stelle ha inteso sputare sui partiti, chi si è addirittura rifiutato di entrare in cabina non ha più voglia neppure di sputare: ri­sparmia anche la saliva. Non è una bella immagine, ma è quella della politica, og­gi.

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