Belsito consegna il tesoro leghista: undici diamanti e cinque chili d’oro

Belsito consegna il tesoro leghista: undici diamanti e cinque chili d’oro

MilanoDev’essere che negli ultimi giorni l’aria s’era fatta pesante. Dev’essere che, come lui stesso ha raccontato, «nel partito molti sapevano quello che facevo», però «la croce la porto io e me la tengo». La croce, forse. Le manette, quelle no. Così Francesco Belsito, l’ex tesoriere del Carroccio al centro dell’inchiesta su «Lega ladrona», si è tolto un peso. Almeno cinque chili. Cinque chili come i lingotti d’oro che sembravano spariti nel nulla e che ieri il vecchio amministratore delle finanze lumbard ha riconsegnato in via Bellerio, assieme a 11 diamanti e all’Audi A6 su cui era solito sfrecciare il giovane Renzo «Trota» Bossi, uscito dal retro della politica dopo gli scandali che hanno travolto la «Family». Un tesoretto, quello dei diamanti, che, ha annunciato ieri il governatore del Piemonte Roberto Cota, la «Lega adesso venderà, dando il ricavato alle sezioni». Chiuso il mistero dei preziosi volatilizzati? Non proprio. Perché all’appello, secondo la Procura di Milano, mancano ancora pietre preziose per un valore di 200mila euro. Quelle che - è il sospetto degli inquirenti - potrebbero essere finite alla vicepresidente del Senato Rosi Mauro e al senatore Piergiorgio Stiffoni. I quali però negano fermamente.
Un viaggio lungo poco meno di 150 chilometri, da Genova a Milano. Perché il tesoro della Lega sarebbe stato nascosto nel caveau di un istituto di credito del capoluogo ligure, lingotti e diamanti in confezione sigillata. Non banca Aletti, però, su cui era aperto il conto del Carroccio. Poi caricati su una vettura guidata da Paolo Cesati, militante leghista, che li ha portati in via Bellerio per rimetterli a disposizione del partito. Cesati ha firmato un verbale di consegna davanti a Belsito e al legale dell’ex tesoriere, l’avvocato Paolo Scovazzi. «Oggi 16 aprile 2012 in Genova - è l’intestazione del documento - presso lo studio legale dell’avvocato Paolo Scovazzi, il dottor Francesco Belsito, ex segretario amministrativo federale della Lega Nord. Premessa. L’urgenza che ancor prima di un formale passaggio di consegne, allo stato in via di fissazione a seguito di impulso dell’avvocato Paolo Scovazzi, la Lega Nord venga in possesso di cose mobili di sua proprietà, soprattutto al fine di manlevare il dottor Francesco Belsito dall’onere di custodire detti beni senza possederne la titolarità. Tutto quanto sopra premesso, il dottor Francesco Belsito riconsegna alla Lega Nord i beni in appresso indicati attraverso l’affidamento per il trasporto al signor Paolo Cesati, collaboratore della Lega Nord che ne curerà la riconsegna al nuovo segretario amministrativo federale». A seguire la lista dei lingotti, dei diamanti e le specifiche dell’auto. Nel verbale si annota che i lingotti d’oro e le pietre «sono stati fotografati prima della consegna e le foto trattenute dal consegnante». Perché fidarsi è bene, però. Nel nuovo capitolo del romanzo giudiziario-padano, la mossa di Belsito è chiara. Rimette sul piatto quello che - era l’accusa - avrebbe prima acquistato con i fondi del partito e poi nascosto per sé, così da alleggerire la propria posizione nell’indagine che ha colpito via Bellerio. E in effetti, almeno per quanto riguarda il capitolo della presunta appropriazione indebita (contestata dai pm), l’ipotesi di reato potrebbe ammorbidirsi. Restano però ancora molti aspetti da chiarire. Perché i conti continuano a non tornare. Non solo nei bilanci del Carroccio - taroccati, secondo la Procura - ma anche e soprattutto per quei 200mila euro in diamanti che sembrano ancora mancare all’appello. Però il colpo di teatro di ieri si può leggere così: Belsito, il suo, l’ha fatto. Ora la palla passa agli altri. Chi? Ad esempio Rosi Mauro e Piergiorgio Stiffoni (peraltro ex membro del comitato amministrativo della Lega), indicati nelle varie carte dell’inchiesta come presunti destinatari di somme sottratte alle casse del partito, al pari del neo-triumviro Roberto Calderoli. Né Mauro né Stiffoni (e nemmeno Calderoli) sono formalmente sotto inchiesta, ma agli atti c’è un documento bancario in cui compare la firma dei due, indicati quali destinatari dei diamanti comprati alla fine del 2011 dall’ex tesoriere. Un indizio, non abbastanza per procedere a una loro iscrizione nel registro degli indagati. Però è chiaro che la pista non verrà abbandonata.
«L’importante - è l’invito di Roberto Maroni, segretario in pectore - è che i magistrati facciano presto luce su tutto ciò che è accaduto, mi auguro che l’indagine non duri cinque o sei anni». A occhio non ce ne sarà bisogno.

Perché la Procura di Milano sta proseguendo nell’analisi dei molti documenti sequestrati, e da lì conta di venire a capo del groviglio lumbard. E perché, saltato il tappo, la stagione delle «purghe padane» potrebbe indurre qualche epurato a meditare vendetta. E a quel punto, il cerchio (magico?) sarebbe davvero chiuso.

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