"Belsito sbianchettò i conti" Ma per ora Bossi non rischia

Ai pm la Dagrada spiega come l’ex cassiere truccò una delibera per sbloccare gli investimenti a Cipro. "Soldi anche per le cure mediche della famiglia"

"Belsito sbianchettò i conti" Ma per ora Bossi non rischia

Milano - Umberto Bossi non verrà incriminato fino a quando non ci saranno elementi concreti che dimostrino che era al corrente di come venivano spesi illegalmente i soldi della Lega Nord. Ma il trattamento «morbido» riservato al Senatùr - in considerazione anche di uno stato di salute che probabilmente ha ridotto le sue capacità di attenzione - non vuol dire che l’inchiesta sui fondi del Carroccio non verrà portata fino in fondo e fino alle sue conseguenze estreme. Al contrario.
«Adesso dateci il tempo di leggere le carte», dicono ieri fonti investigative. Poi, passato il ponte di Pasqua, si inizierà a lavorare alla fase 2, sul base dell’imponente materiale sequestrato durante le perquisizioni di martedì scorso e delle confessioni torrenziali che già nei primi giorni d’inchiesta sono state messe a verbale. Come quelle esplosive di Paolo Scala, il faccendiere che doveva gestire gli investimenti a Cipro e in Tanzania, e come quella delle due segretarie, Daniela Cantamessa e Nadia Dagrada, interrogate nei giorni scorsi.
Napoli cederà a Milano parte dell’inchiesta, e sarà dunque il capoluogo lombardo a scavare più direttamente sui conti di via Bellerio: la Procura milanese è consapevole che una delle accuse contestate ai leghisti, quella di truffa allo Stato, è giuridicamente fragile, se non altro perché è la prima volta che questo reato viene contestato ai funzionari di un partito politico, mentre decisamente più solida appare l’accusa di appropriazione indebita. Alla Procura di Reggio Calabria rimane il filone più cupo, quello sulla contaminazione di fondi occulti del partito di Bossi con quattrini provenienti dalla ’ndrangheta: per questo i pm calabresi, che utilizzano le indagini della Dia, avrebbero voluto agire con tempi più lunghi, e arrivare forse alla richiesta di una raffica di arresti. Ma alla fine la sovrapposizione delle tre indagini (emersa quando la Direzione nazionale antimafia ha avvisato i tre procuratori che stavano intercettando i medesimi telefoni) ha costretto i pm a una mediazione, scaturita nel clamoroso blitz di martedì.
È stata - e lo si capisce bene solo adesso, leggendo le carte - una operazione militare in grande stile e giocata sull’elemento sorpresa. Tutto avviene nel cuore della notte. I funzionari del Carroccio vengono sbrandati nelle loro abitazioni e costretti a portarsi nei loro uffici. Uno degli interrogatori chiave, quello di Nadia Dagrada, inizia alle sette del mattino, negli uffici di via Bellerio. La Dagrada si trova da sola di fronte a cinque uomini che la interrogano. Tra loro c’è il pm milanese Paolo Filippini, il suo collega napoletano Henry John Woodcock. E c’è anche «Ultimo», ovvero Sergio De Caprio, il colonnello dei carabinieri che nel 1992 arrestò Totò Riina.
Davanti a quei cinque uomini, la Dagrada si libera di un peso accumulato nel tempo: da quel lontano 2004, racconta, in cui l’ictus che colpì Bossi cambiò la storia della Lega. Da allora, dice, nulla è stato più come prima. Sotto la gestione del vecchio cassiere Balocchi, semmai, i fondi neri entravano: la Dagrada racconta di venti milioni di lire portati dal vecchio tesoriere in contanti e chiusi in cassaforte. Con la malattia del leader invece è iniziato l’assalto alla cassa, divenuto devastante quando a Balocchi si sostituisce Belsito.
Racconta la funzionaria: «Vi sono una serie di somme di denaro provenienti dai finanziamenti pubblici erogati dallo Stato alla Lega nord che non hanno nulla a che vedere con le finalità del partito. Faccio degli esempi: mi risulta che con i soldi pubblici sia stata comprata l’auto Audi A6 acquistata da Renzo Bossi e poi passata a Belsito; sono stati usati soldi pubblici per pagare conti dei medici anche per cure ricevute da membri della famiglia Bossi; il Belsito mi ha riferito di avere pagato con i soldi della Lega cartelle esattoriali e conti vari di Riccardo Bossi».
La Dagrada parla anche di come Belsito sbloccò l’investimento a Cipro truccando col bianchetto una delibera che per quelle somme avrebbe imposto una delibera degli organi dirigenti.

E fa anche il nome dell’amico di Rosi Mauro (che nelle intercettazioni veniva definito bruscamente il gigolò) cui la Lega avrebbe persino pagato la laurea: è Pier Giuramosca, poliziotto, che la Lega avrebbe persino fatto assumere alla presidenza del Senato.

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